Parlando con i ragazzi mi sono resa conto che durante la pandemia sono stati osservatori silenziosi del mondo, accettando tutte le restrizioni.

Adesso, credo che ci sia urgenza di parlare di bambini ed adolescenti al tempo del covid, di prenderci cura della loro salute mentale e capire cosa e come hanno vissuto. I nostri ragazzi sono stati lasciati soli a vivere in una vita quasi virtuale; questo ha apportato da una parte conseguenze sulla salute fisica e mentale, dall’altra sul benessere dell’intera società con conseguenze economiche e sociali sulla famiglia.

La normalità di ogni cosa, gesto, azione è stata in poco tempo abbattuta dal Covid. I ragazzi avrebbero potuto esplorare se stessi e il mondo circostante, si sarebbero confrontati con la realtà di tutti i giorni facendo verifiche, interrogazioni a scuola; avrebbero vissuti momenti piacevoli nelle gite scolastiche tra divertimento e condivisioni amicali; avrebbero vinto o perso i vari campionati sportivi; avrebbero festeggiato il compleanno; si sarebbero incontrati con gli amici nei parchi e nelle piazze; avrebbero consumato una pizza; avrebbero, insomma continuato a vivere come sempre hanno fatto per anni.

Tutto sarebbe stato vissuto in prima persona, tra le emozioni e il brivido di “esserci “e “stare con”, invece, hanno dovuto modificare le proprie abitudini, la loro routine quotidiana. Sono stati costretti, così, a chiudersi nelle quattro mura di casa in uno spazio ristretto, condiviso con altri, lontani dalla scuola, dagli amici, dalla libertà, dalle relazioni, dal comunicare vis a vis.

L’unico modo che hanno avuto per stare insieme è stato quello di condividere con gli altri uno schermo.

Internet è stato il loro più grande amico. Si sono sentiti uniti condividendo e facendo scroll tra i post e le stories. Il digitale è vero che li ha connessi, ma le relazioni del mondo reale valgono di più e non hanno niente a che vedere con le relazioni simulate. Alla generazione del covid è stato preservato il diritto allo studio con la Dad, che però non ha funzionato per la quasi totalità dei ragazzi perché ha creato difficoltà nello stare seduti, nell’attenzione, nel cooperare in un progetto di gruppo; mentre per pochi è stata positiva, perché nascondendosi dietro ad uno schermo hanno ridimensionato la loro ansia da prestazione.

La Dad ha poi compromesso la socialità e il processo di socializzazione, non permettendo di stare insieme ai coetanei, di instaurare rapporti amicali, d’imparare a collaborare, di fidarsi degli altri e di essere empatici. L’emergenza, inoltre, da un lato ha migliorato le relazioni in famiglia in quanto sono aumentate le occasioni per stare insieme, per trascorrere tempo di qualità e di condivisione.
Dall’altro, invece, sono peggiorate le relazioni familiari (violenza assistita, domestica, femminicidio) in quanto la casa non è stato un luogo sicuro (dato, quest’ultimo, che si è raramente evidenziato). Non meno grave è l’aumento delle dipendenze comportamentali come il gioco d’azzardo, i videogiochi e i casi di cyber bullismo e di pornografia.

Mai a qualcuno è venuto in mente quale sia stato il loro mondo emotivo?

Pochi hanno avuto la lucidità di parlarne e di capire che tornando a scuola dopo due anni di pandemia, avrebbero dovuto fare parlare i ragazzi, ascoltarli nei loro vissuti, essere comprensivi ed empatici. A pochi è interessato, del resto, sapere che i ragazzi durante la pandemia si sono sentiti soli, incompresi, strani, limitati, spaventati, bloccati, tristi, arrabbiati, ansiosi, annoiati, esclusi, preoccupati.

Quanti di questi ragazzi non dimenticheranno, poi, la paura di leggere l’esito di un tampone e di contagiare i propri cari stando lontani dai nonni; l’angoscia costante e l’incertezza per il futuro come se vivessero in una fase di sospensione senza disporre di prospettive per i loro progetti di vita.
Tutte queste sensazioni negative hanno inciso sul loro benessere psicologico, nella costruzione di relazioni significative e nella ricerca di autonomia e di nuove esperienze.

La pandemia non è ancora terminata, continuiamo a vivere sul chi va là, ma, adesso tutti noi come adulti abbiamo la responsabilità di dare il tempo giusto ai nostri ragazzi per fargli vivere la normalità, il tempo per essere ascoltati, il tempo di essere aiutati se ancora non hanno metabolizzato il disagio provocato dal lockdown.

Ma anche, il tempo di fargli capire che non si ritorna mai a quello che si è stati prima e che la realtà non è sempre scontata. Dobbiamo aiutare i nostri figli ad imparare che tutto può cambiare in un attimo.