Molti genitori vivono con angoscia l’ingresso dei bambini alla scuola dell’infanzia e cercano risposte e soluzioni al pianto disperato che caratterizza i primi giorni.
Non è facile per un bambino separarsi dalla mamma, così come altrettanto difficile e complesso è per una madre separarsi dal proprio figlio.
Ma chi ha più paura di entrare alla scuola dell’infanzia: il bambino, la mamma, il papà oppure i nonni? Sembrerebbe una domanda retorica, ma in realtà non lo è, e chi opera all’interno di questo segmento educativo lo sa bene.
Per un bambino il primo ingresso a scuola è un passo verso l’autonomia, un’importante fase della crescita che come tutti i cambiamenti si accompagna a naturali difficoltà. In questo caso la reazione di pianto è una reazione più che normale. Molti genitori invece vivono la scuola all’insegna di dubbi e incertezze: da un lato sono contenti che i loro figli facciano questa esperienza ma dall’altro hanno paura che non si trovino bene, che soffrano abbandonati in un angolo della sezione e che restino senza la loro protezione. Succede così che molte mamme nel descrivere il pianto del loro bambino suppongono che questi stia subendo un grave trauma psicologico e su questa base regolano la loro condotta.
Immaginate per un attimo di essere voi al posto di quel piccolo che si sta cimentando nell’ardua impresa che è il primo ingresso a scuola e che ad accompagnarvi sia vostra madre, la persona di cui più vi fidate.
Lei vi stringe tra le sue braccia e continua a ripetervi: “Non preoccuparti, mammina non ti lascia, non preoccuparti, torno subito…”.
Intanto un’illustre sconosciuta (l’educatrice) viene verso di voi e più questa si avvicina, più vostra madre vi stringe a sé, vi accarezza e voi percepite così tutte le sue ansie e le sue paure, le avvertite in quell’abbraccio sempre più forte e le sentite nel tono di voce tremante e spaventato. Cosa penserete mai di quel posto che tutti chiamano scuola? Che sia forse un luogo sicuro e piacevole?
C’è poi la madre che per evitare lo strazio del pianto ricorre ad uno stratagemma che fa parte di quei comportamenti assolutamente vietati: profittando di un attimo di distrazione del figlio sgattaiola via. Anche questa volta immedesimarvi nel bambino può essere d’aiuto. Vi guardate intorno e scoprite che vostra madre è sparita, magari penserete che sia tutta colpa di quelle signore cattive e che forse non tornerà mai più a riprendervi.
Alcuni genitori hanno invece difficoltà a comprendere il pianto dei loro figli perché ritengono che questi siano già abituati alla loro assenza, giacché assistiti da nonni o da babysitter. In realtà si tratta di una falsa credenza, perché la scuola è un ambiente completamente diverso, con persone adulte che non conosce e bambini che possono anche invadere il suo territorio, perché lo provocano o gli portano via i giochi.
La scuola è una comunità in miniatura e come tale presenta tutte quelle dinamiche che la rendono un’importante palestra di vita, un luogo di crescita e di grandi conquiste. Le fatiche legate all’inserimento scolastico implicano che questo dovrà realizzarsi con assoluta gradualità, nel rispetto di tempi che sono unici per ogni bambino.
Non abbiate quindi, fretta di lasciarlo a scuola per l’intero orario e soprattutto affidatevi all’esperienza delle educatrici per stabilire come e quando cominciare a pranzare a scuola. Il cibo, infatti, a causa delle implicazioni psicologiche che gli sono proprie, può rappresentare il canale attraverso il quale il bambino esprimerà tutto il suo disagio con forme di rifiuto ed inappetenza. Per un bambino superare le difficoltà significa guadagnare in autostima, sentirsi sempre più adeguato, vivere con gioia il rapporto con gli altri, ponendosi come soggetto autonomo all’interno del gruppo dei pari, e non come gregario. I bambini che non frequentano la scuola dell’infanzia e che per una serie di vicissitudini, magari legate alle debolezze dei genitori, sono costretti a vivere una dimensione non socializzante perché circondati dai soli adulti, avranno probabilmente in futuro difficoltà nel relazionarsi con gli altri.
Quando poi, causa forza maggiore, dovranno essere inseriti nella scuola dell’obbligo mostreranno tutte le loro inadeguatezze e patiranno il distacco da quel mondo ovattato che è la loro casa. Molti di questi bambini piangeranno nell’andare alla scuola primaria e vi assicuro che in quel pianto vi è una carica di dolore e di paura che non è per nulla paragonabile a quella di un bambino di 2 o 3 anni. Ma continuiamo con il nostro role plaiyng ed immaginiamo ancora di essere al posto di quel bambino che sta scoprendo per la prima volta la scuola.
Tutto può cambiare quando la mamma si mostra contenta e piena di entusiasmo per questa nostra esperienza (anche se dentro di lei non è proprio così). È un’iniezione di forza e di ottimismo che ci consentirà di superare con serenità questa nuova tappa e ci sosterrà nell’affrontare le fatiche del diventare grande.
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Trovo molto interessante ed anche realistico quanto descritto in questo articolo, ma mi chiedo: se un bambino, come mio figlio, anzichè piangere si immobilizza a scuola (apparendo spaventato, non partecipando alle attività e non interagendo con gli altri compagni) è solo perchè adotta una modalità diversa dal pianto per esprimere il suo disagio? Inoltre, è vero che ogni bambino ha i suoi tempi, ma questo tipo di atteggiamento, quello di mio figlio, può essere considerato ancora “normale” (nel senso di legato alle difficoltà di inserimento) se perdura per oltre 5 mesi dall’inizio della scuola? Potrebbe essere utile a mio figlio che io mi rechi qualche giorno a scuola e lo accompagni nelle attività da svolgere, così da rassicurarlo?
Grazie per la Vostra risposta.
Sicuramente, dopo 5 mesi di frequenza scolastica, un bambino che non partecipa ed intimorito resta in disparte, è un bambino che sta esprimendo un disagio. Pur tuttavia stabilire la causa non è cosa facile, bisognerebbe avere qualche informazione in più come ad esempio l’età di tuo figlio e la sua modalità di gestirsi in contesti ove non sono presenti figure familiari di riferimento.
Mio figlio ha 3 anni e mezzo quasi.
A casa fa tutte le cose che le maestre dicono non faccia a scuola ed altrove è sciolto e socievole, anche se non sono presenti figure di riferimento come noi genitori ed i nonni. Di carattere non è particolarmente aperto (nel senso che non ti racconta le sue cose se non gliele chiedi), ma socializza senza difficoltà. E’ deciso su ciò che vuole e non, quando però deve fare una cosa nuova, chiede conferma e sicurezza a me (ma questo lo fa da pochi mesi, non da sempre).
Spero di aver fornito dati importanti.
Grazie.
Volevo aggiungere che in contesti nuovi dove non ci sono figure familiari di riferimento tende a legarsi sempre ad una figura comunque adulta, chiedendo proprio il contatto fisico (chiede di stare in braccio). I primi giorni di scuola lo ha fatto anche con una delle due maestre, ma poi credo che successivamente la maestra non abbia più potuto accontentare questa sua richiesta.
Per un bambino di 3 anni la socializzazione è un processo naturale, ma non per questo semplice e scontato. In particolare, per un bambino abituato alla “benevolenza” degli adulti tuffarsi tra coetanei prepotenti ed egocentrici , può fare un pò paura. Ecco che per difesa egli crea una distanza fisica tra sé e gli altri, si mette nell’angolino e lì resta in silenzio senza muoversi evitando accuratamente di attirare l’attenzione. Il rendersi invisibile è infatti una risposta istintiva ad una sittuazione percepita come minacciosa. La ricerca delle braccia dell’insegnante risponde all’esigenza di sentirsi protetto e di creare tra sè e gli altri una barriera fisica, le braccia per l’appunto.
Cosa fare?
Sicuramente è opportuno rivedere l’inserimento magari proponendolo all’interno di un piccolo sottogruppo (3-4 bambini al massimo).Può essere opportuna anche la presenza della mamma, a condizione che questa non si limiti a tenere il bambino in braccio pensando di risolvere il tutto spiegandogli quanto possa essere bello e divertente giocare con gli altri. Poco senso hanno in questo caso le parole dal momento che il messaggio prevalente è quello non verbale ” hai ragione ad aver paura perciò ti proteggo tenendoti tra le braccia”.
In questo caso la madre senza volere è un rinforzo negativo. A volte per ovviare a questo tipo di interferenza l’inserimento dei nuovi iscritti viene agevolato da tutor, bambini che frequentano l’ultimo anno di scuola dell’infanzia e perciò sono ben integrati all’interno della struttura.
Un bacio al suo piccolo.
Ci sono troppi luoghi comuni in questo articolo. Primo fra tutti quello di colpevolizzare le madri delle difficoltà dei propri figli senza osservare il contesto in cui una madre si trova. Lasciare il proprio figlio ad una persona sconosciuta è assolutamente innaturale. Che poi la nostra cultura abbia creato gli asili per motivi pratici posso capire, che l’asilo sia un bel luogo in cui i bambini si divertono ci credo, ma è importante prendere coscienza del fatto che comunque, per natura, i bambini che piangono quando la madre li lascia lì per qualsiasi motivo lo faccia, rispondono ad una legge biologica. E la madre che prova sentimenti di tristezza fa altrettanto. Seconda cosa, per rassicurare un bambino non bastano le parole. Serve la vicinanza fisica. Solo gli adulti credono alle parole. I bambini no, i bambini sono fisici. Terza cosa: se una madre per rassicurare il proprio bambino, calpesta e soffoca quella parte di sè che le sta dicendo “non voglio farlo soffrire e soffrire io” è assolutamente inutile. I bambini se ne accorgono e non capiscono cosa ha la madre, ed hanno ancora più paura. Una madre deve poter parlare al proprio figlio con il cuore in mano e dire la verità di quello che sente senza sentirsi giudicata da nessuno nè colpevolizzata delle paure, giustificate, dei propri figli e di sè stessa.
La nostra bambina di quasi 5 anni ha difficoltà ad inserirsi con i suoi coetanei ultimo anno scuola dell’infanzia.
Mi lascia con fatica e spesso piange e vorrebbe essere presa in braccio sempre dalla sua insegnante che fra l’altro mi ha comunicato che non si vuole staccare da lei e le stà sempre accanto.
Quando ci sono parecchi bambini e vede la confusione và in tilt ed ha sempre bisogno di una figura adulta (l’insegnante) per rassicurarsi.
Cosa consiglia? Come comportarsi?
Cosa aspettarsi il prossimo anno all’inserimento alla scuola elementare e come prepararla al meglio?
Grazie per le risposte.
Gentile signora,
sarebbe utile sapere da quanto tempo sua figlia frequenta la scuola dell’infanzia.
Se è al suo primo anno, probabilmente il disagio è legato alle difficoltà fisiologiche di un inserimento in un età tardiva, diversamente può essere utile approfondire e comprendere se tali inadeguatezze si manifestano esclusivamente nel contesto scolastico o se invece sono estese anche ad altri ambiti relazionali.
Cordialmente
Nanda Santoro
La mia bambina di 3 anni ha iniziato questo anno la scuola materna.
I primi giorni tutto ok sembrava un leone la padrona della scuola ed ora è circa una settimana che la mattina cade in un pianto ininterrotto.
Che ansia per me.
Scusatemi se riapro l’argomento, ma anche quest’anno ci risiamo.
Verso la scorsa primavera, le cose a scuola con mio figlio si erano molto tranquillizzate e lui ci andava di buona voglia partecipando alle attività. Le maestre mi segnalavano il cambiamento in positivo. Mio figlio iniziò anche a mangiare a scuola.
Quest’anno, il rientro è stato “indolore”, cioè, il bambino andava volentieri a scuola, poi ha cominciato a dirmi più volte che non voleva andarci. Verso l’inizio di questo mese, le maestre mi hanno detto che “non hanno visto miglioramenti rispetto all’anno scorso e che mio figlio resta seduto nel suo banchetto senza partecipare a nulla, disinteressato ai compagni ed alle attività, limitandosi solo a colorare un pò, giocare un pò con la plastilina, ecc.” Le maestre dicono che per loro c’è un problema e propongono un “sostegno”.
Francamente, mi è sembrato eccessivo ed ho detto loro di aspettare ancora un pò.
Mio figlio ogni giorno continua a dirmi che non vuole andare a scuola e che a scuola non vuole fare niente, stamattina mi ha detto :”voglio andare ad un’altra scuola”.
Che ne dite? Io una mezza idea ce l’ho, ma vorrei sapere le vostre opinioni…
Il bambino ha 4 anni ed è al secondo anno di asilo.
Grazie!
Cara signora, è puro azzardo esprimere anche solo un giudizio sulla base degli elementi che mi ha fornito. Stando a quel poco che mi ha raccontato devo desumere che le insegnanti le stanno segnalando un problema di natura “relazionale”. In questi casi, per essere certi che la cosa sia da imputare esclusivamente alla scuola bisognerebbe appurare che in contesti diversi da quello scolastico il bambino non manifesti la medesima inadeguatezza. Pur tuttavia tale analisi è troppo spesso impossibile dal momento che l’unico ambiente dove un bambino di 4 anni sperimenta una significativa relazione con il gruppo dei pari è proprio la scuola dell’infanzia. In tutta onestà le devo dire che la mia esperienza in ambito clinico mi suggerisce di consigliarle di rivolgersi ad un esperto per avere un chiaro quadro della situazione. Se lo riterrà opportuno può richiedere il mio recapito alla redazione di baby magazine sarà per me un piacere poterle essere d’aiuto.
Salve. Siamo i genitori adottivi di una splendida bimba che ora ha 3 anni. Il 14 Settembre (ad un anno esatto dal nostro incontro – abbiamo ovviamente aspettato 1 anno per farla inserire nella sua nuova famiglia e in una realtà completamente diversa rispetto al suo paese di origine) ha iniziato il suo primo anno di materna. Dopo 15 giorni purtroppo l’inserimento ancora non c’è stato anzi ogni giorno sembra essere come il primo. In classe si dispera, non vuole starci e quando la accompagniamo la mattina continua a ripetere “a casa nostra”. Poi le maestre la portano in giardino dove ci sono i giochi e li si calma ma ogni volta che entra in classe ricomincia a disperarsi. Ieri siamo andati a prenderla alle 12.30 (ovviamente per il momento nemmeno a parlarne del tempo pieno) e l’abbiamo trovata con gli occhi gonfi di lacrime e i pantaloni bagnati per la pipi che si era appena fatta addosso. Le assicuriamo che stiamo cercando di vivere questo inserimento nel modo più sereno possibile. Le parliamo della scuola come di un posto sicuro dove lei può divertirsi insieme a tanti nuovi amichetti. Le abbiamo anche fatto capire (o almeno abbiamo cercato di farlo) che mamma e papà torneranno sempre a prenderla e che lei non verrà mai lasciata sola. A casa parla della scuola in modo molto sereno e continua a ripetere (come fosse un mantra) “mamma torna, mamma torna”, ma poi arrivati davanti alla scuola cambia completamente atteggiamento. Le abbiamo fatto vedere anche degli episodi dei suoi cartoni preferiti dove i protagonisti vanno a scuola e le abbiamo detto che tutti i bimbi vanno a scuola, ma niente da fare. Non le nascondiamo che un po’ ci stiamo demoralizzando anche se non vogliamo mollare perché siamo convinti che la scuola è uno strumento fondamentale per la sua crescita e come dice lei un’esperienza formativa fondamentale. Ci dia per cortesia qualche consiglio in più o almeno qualche rassicurazione perché ad un certo punto ci sentiamo disarmati e a volte pensiamo di aver sbagliato qualcosa in questi primi 12 mesi della nostra vita. Grazie, un caro saluto.
Gentili genitori, cerco di rispondervi, fermo restando che conosco la vostra situazione solo dallo scritto ricevuto e posso solo avanzare delle ipotesi…
L’inserimento in una struttura esterna alla famiglia è sempre un passo delicato e percepito da ogni bambino in maniera a se’.
Considerate, in aggiunta, una situazione resa più difficile dal periodo che la bimba ha trascorso senza di voi, in un altro posto, altre persone, altra situazione.
Ciò premesso Vi posso rassicurare sul fatto che un tipo di comportamento simile non è assolutamente fuori dalla norma.
Certo, siamo più nell’eccezione che nella regola, ma nei moltissimi inserimenti che mi è capitato di vedere ho potuto osservare comportamenti simili in un numero di bambini superiore a quanto Vi immaginereste, molti dei quali senza apparenti problemi…
La fase veramente importante, quando si tratta di inserimenti e di bambini con una particolare sensibilità al distacco, è il preinserimento, ovvero un periodo più o meno lungo (solitamente da una a due settimane) in cui il bambino rimane nella nuova struttura insieme ad un genitore.
Molte scuole sottovalutano questo passaggio, ma per alcuni bambini esso è fondamentale.
Tenuto conto, perciò, del fatto che il comportamento rimane comunque nella norma (preoccupatevene ma “il giusto”) bisognerebbe intervenire sul rafforzamento dell’attaccamento al genitore, e non sul distacco, in maniera che quest’ultimo avvenga in maniera più naturale.
Come suggerimenti pratici Vi direi di relazionarvi con la scuola e stabilire delle modalità personalizzate di inserimento: la bambina deve prendere possesso dello spazio insieme ad un genitore (o qualcuno con cui sia abituata a stare e sia tranquilla).
Nel tempo di compresenza è possibile introdurre i giochi, l’uso degli spazi e le figure di riferimento a piccole dosi e con la mediazione della famiglia, che per la bambina è fondamentale… Ovviamente sarà un pochino più difficile ora, poiché la bimba ha già elaborato una propria idea dello stare in quello spazio e l’associazione non è positiva…in ogni caso è un tentativo che andrebbe fatto e di sicura utilità…
Dopo due o tre settimane di inserimento condiviso si potrebbe passare a brevi distacchi (da dieci minuti fino a un’ora).
E poi vedere come si evolve l’inserimento.
Gli imperativi sono sempre serenità, pazienza, perseveranza, e tanto amore.
A disposizione per ulteriori chiarimenti/necessità.
dott.ssa Laura Carissimi
Consulente pedagogica e formatrice