Molti bambini tendono ad isolarsi, ad evitare situazioni di gioco comune, e perfino una festa di compleanno può trasformarsi in un momento di grande disagio: pretendono che la madre resti con loro, le si aggrappano al collo ed attendono con ansia il ritorno a casa.


Per un genitore vedere i coetanei del figlio divertirsi, correre, ridere e giocare mentre il proprio bambino versa in uno stato di grande abbattimento e tristezza, genera sentimenti di grande preoccupazione. La timidezza non è una patologia ma una caratteristica della personalità che può raggiungere diverse intensità. Nasce da un temperamento iperemotivo che rende il bambino particolarmente sensibile agli stimoli esterni.

Questa vulnerabilità emotiva può essere aggravata da particolari stimoli ambientali: non di rado infatti, ha un suo background; il bambino timido è stato allevato da una madre che, in modo del tutto involontario, gli ha comunicato e trasferito le sue ansie e paure circa gli eventi della vita oppure, al contrario, da genitori esigenti che troppo hanno preteso senza commisurare le loro richieste alle reali possibilità del figlio. La timidezza, infatti, altro non è che un’eccessiva paura del giudizio altrui accompagnata da sentimenti di inadeguatezza e scarsa autostima. Si tratta di un meccanismo di difesa che induce il bambino ad evitare le situazioni che possono mettere a nudo la sua fragilità emotiva e rende difficile affrontare nuove situazioni e vivere esperienze potenzialmente positive. A questo punto è di fondamentale importanza il ruolo giocato dai genitori, o comunque dalle figure di accudimento.

Il bambino può essere aiutato a capire il suo mondo interiore, standogli vicino e mostrando di apprezzare i suoi punti di forza senza colpevolizzare i suoi limiti. Il timore che egli nutre nei confronti degli altri può facilmente essere smorzato, ad esempio, indicandogli i lati divertenti e piacevoli delle persone, in modo da ridurre il grado di soggezione emergente. È oltremodo dannoso dimostrarsi palesemente preoccupati, magari rimproverandolo e deridendolo. Ciò non può che accentuare e rafforzare il suo senso di inadeguatezza. così come per l’atteggiamento estremamente protettivo del genitore che interviene, ad esempio, nei litigi con i coetanei, intercedendo e difendendo il figlio. È questa una forma di umiliazione e di conferma dello stato di debolezza del proprio bambino.

Una delle caratteristiche associate alla timidezza è infatti l’incapacità di difendere efficacemente i propri diritti e di esprimere le proprie opinioni: lavorare su questo aspetto, comporta un rafforzamento dell’autostima e crea prospettive per una migliore qualità della vita. Capita spesso di assistere ad episodi di “fobia scolare”, come il seguente: durante i colloqui con la madre era emerso che il figlio i primissimi giorni di scuola dell’infanzia aveva ricevuto uno schiaffo da un coetaneo (stiamo parlando di bambini di 3 anni) e da allora si era rifiutato, non solo di andare a scuola, ma anche di allacciare rapporti con altri che non fossero persone a lui familiari.
Alla domanda “Signora, lei cosa ha fatto quando suo figlio al ritorno da scuola le ha raccontato del litigio con il coetaneo?” “Sono prima andata a lamentarmi con la maestra, quindi ho preferito tenere il bambino a casa per evitargli incidenti futuri”. Anche negli anni a seguire, la madre aveva sempre accettato, assecondandoli, i tentativi di evitamento sociale messi in atto dal figlio.

Questa storia è particolarmente emblematica. è indiscutibile che un bambino possa accusare uno schiaffo in modo più o meno grave; pur tuttavia, è probabile che se la madre, anziché rafforzare e radicare in lui il convincimento che gli altri sono pericolosi attentatori alla propria incolumità, avesse spiegato al figlio che fra bambini può succedere che si litighi, ma può anche accadere che si giochi insieme e ci si diverta, oggi quel bambino avrebbe potuto raccontare una storia di vita sicuramente più serena e meno problematica. La timidezza, infatti, se non è gestita in modo adeguato, ostacola la lucidità di pensiero e la comunicazione e si accompagna a stati d’animo negativi come la depressione, l’ansia, la sfiducia in se stessi e il senso di solitudine. L’adozione di particolari strategie educative può, dunque, evitare che un bambino timido veda compromesso il sano desiderio di sperimentare e di sperimentarsi, nonché l’irrefrenabile voglia di giocare ed essere felici, in una dimensione di assoluta leggerezza che appartiene solo all’infanzia.