La definizione della dislessia evidenzia innanzi tutto il fatto che fra i molti bambini che trovano difficoltà nell’apprendere a leggere e a scrivere, solo una piccola percentuale è dislessica.
Alcuni bambini, come i sordi o i portatori di handicap psichico, presentano problemi di lettura uniti ad altri tipi di difficoltà di apprendimento. Altri bambini, invece, arrivano alla scuola elementare con lacune nell’area percettiva da attribuire al non uso o al cattivo uso delle abilità di base: poco movimento, impacci psicomotori, scarsa attitudine al ritmo, alla segmentazione della parola in sillabe, limitata competenza linguistica di origine socio ambientale, insufficiente attitudine all’analisi del linguaggio e al suo uso, carenza di stimolazioni.

Il dislessico è invece, in genere, un bambino dotato di un’intelligenza vivace e curiosa, si esprime con disinvoltura usando un linguaggio ben strutturato. Cambia completamente atteggiamento di fronte ad un testo scritto: si agita, è pervaso da uno stato d’ansia, diviene insicuro. La sfiducia in sé accentua le difficoltà di comprensione e nello stesso tempo lo distacca dal proprio gruppo classe. Nel leggere compie elisioni, sostituzioni, inversioni di fonemi, confonde i suoni omologhi.
Assume atteggiamenti e posture anomali nell’esecuzione di un compito che per lui è troppo complesso e fonte di insuccesso. Il suo è un problema specifico relativo all’automatizzazione, velocizzazione, del processo di lettura. Non trova difficoltà particolarmente gravi nel linguaggio orale, ma nei compiti legati alla lingua scritta, sia relativi alla decodifica, sia relativi alla comprensione e all’espressione.

I dislessici dimostrano una particolare lentezza nella ricostruzione dei significati, a mano a mano che aumenta la complessità e la lunghezza del brano da leggere.
Solo se guidati riescono a cogliere il valore comunicativo e gli scopi del linguaggio come “comunicatore” di idee diverse, poiché mancano loro le capacità metalinguistiche, cioè le capacità di cogliere il significato della parola distaccandola dal contesto.
Ciò che sembra inficiare lo studio e disincentivarne la pratica, sono i tempi lunghi di lettura ed il dispendio di energia attentiva per controllare e correggere gli errori di decodifica; per questo il bambino dislessico evolutivo non accede a conoscenze che, dal punto di vista concettuale, potrebbe benissimo assimilare. Inoltre la disabitudine a frequentare il testo gli impedisce di raffinare i metodi attraverso i quali si apprende. Il bambino dislessico può leggere e scrivere, ma riesce a farlo soltanto impegnando al massimo tutte le sue capacità e le sue energie, perché per lui il meccanismo non diventa automatico, perciò si stanca rapidamente, commette errori, rimane indietro, non impara.

La difficoltà di lettura può essere più o meno grave e spesso si accompagna a problemi nella scrittura, nel calcolo.
Pensano per associazioni di immagini e mostrano particolari abilità a comprendere i sistemi complessi negli affari economici e le scienze, se oggi sono gli ultimi della classe, diventeranno i primi nel mondo futuro, all’insegna della tecnologia.

Visualizzano in tre dimensioni: fattore importante nel campo della grafica. Hanno difficoltà nella lettura ma se questa viene presentata in modo diverso, che può essere una figura una mappa o altre forme di visualizzazione: tutto cambia. Possiamo definirli dei pensatori visuospaziali.