“Accadrà spesso che persone sconsiderate cerchino di insegnarvi come fare le cose che voi siete in grado di fare meglio di quanto chiunque possa mai insegnarvi. È mia opinione che non ci sia bisogno di dire che cosa deve fare o come deve essere. Cioò che possono fare è non interferire”. (D. Winnicott).
Quando nasce un figlio è sempre un momento di gioia, ma spesso la nascita porta con sé emozioni inaspettate come la stanchezza,sbalzi umore, ansia, angoscia, paura, sensi di colpa e di inadeguatezza e in balia del costante giudizio degli altri.
Lo stereotipo sociale propone poi l’immagine di una madre solare, felice e ci si aspetta che una mamma sia impeccabile, spinta da un istinto materno con la tendenza innata a prendersi cura del proprio figlio. Non ci si rende conto che la maternità comporta anche stress per il cambiamento radicale della propria vita, un adattamento al nuovo ruolo e una modificazione dei ruoli precedenti.
La sofferenza di una famiglia può cominciare, già nei giorni successivi alla nascita, quando la neomamma non si sente felice come pensava di essere, per cui inizia a sentirsi triste senza motivo, incline al pianto, inadeguata nei confronti dei nuovi compiti. Nella maggior parte dei casi è del tutto fisiologico e nel giro di pochi giorni può passare, in altri invece, il malessere può diventare una patologia.
È importante distinguere tra:
– baby blues o maternità blues: si riferisce a un malessere transitorio che otto donne su dieci sperimentano dopo la nascita di un figlio. Compare tra il secondo e il quinto giorno dopo la nascita e si manifesta con sbalzi di umore, irritabilità, pianto facile, difficoltà a dormire, senso di inadeguatezza e lieve ansia. Questi sintomi non sono patologici, perché derivano da cambiamenti ormonali, dallo stress, dalla fatica fisica e dall’impatto emotivo del nuovo ruolo materno. Si risolve entro un paio di settimane, soprattutto se c’è un ambiente accogliente, non giudicante, protettivo e che sostiene la mamma come Persona. Dunque, è una forma fisiologica per lo stato di malinconia.
– psicosi post partum o Psicosi puerperale, ben piu grave della depressione post partum e anche molto più rara. In questo caso la neomamma perde il contatto con la realtà, presenta delirio, allucinazioni, vissuti persecutori. Gli episodi psicotici post partum sono spesso associati all’infanticidio,infatti,sono caratterizzati da pensieri che ordinano di uccidere il neonato oppure da delirio e allucinazioni. Il rischio di psicosi post partum è in aumento per le donne con precedenti episodi di alterazioni dell’umore post partum ma è elevato per le donne con una storia precedente di disturbo depressivo e bipolare.
– Depressione post partum (DPP): colpisce tra il 10/20 % delle donne che partoriscono, anche se può essere più elevata e raggiungere il 26% nelle adolescenti e nelle madri sole, in coloro che hanno un basso status sociale e un basso livello di istruzione.Essa si manifesta entro la prima settimana o mesi dopo il parto. I criteri diagnostici secondo il manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali noto con la sigla DSM5 sono: umore depresso, pianto incontrollabile, estrema stanchezza, perdita di piacere e di interesse, cambiamenti nell’appetito, disturbo del sonno, agitazione, irritabilità, rabbia, riduzione dell’energia, incapacità di pensare lucidamente, pensieri ricorrenti come “non voler vivere”, preoccupazione e disinteresse verso il bambino,sensi di colpa,perdita di interesse verso il sesso, difficoltà a creare un legame con il bambino e a comprendere le sue esigenze.
I fattori di rischio della DPP possono essere:
– biologici: cambiamenti ormonali con diminuzione del livello di estrogeni e progesterone subito dopo il parto, che creeranno un’alterazione degli stati d’animo con una marcata irritabilità e destabilizzazione emotiva; cambiamenti nella regolazione della serotonina e della noradrenalina, per cui se diminuisce la noradrenalina diminuisce anche la voglia di fare, mentre se diminuisce la serotonina peggiora la qualità del sonno.
– Genetici: alterazioni di due geni.
– Psicosociali: aver vissuto eventi stressanti come malattie e perdita di lavoro, problemi di salute o esigenze speciali del bambino; gravidanza non pianificata o indesiderata; svantaggio socio-economico; basso sostegno sociale; il partner che ha rifiutato la paternità o era poco convinto; partner litigioso, violento o alcolizzato. A influire è anche l’incapacità ad adattarsi ai cambiamenti della maternità.
Diventare madre significa imparare a guardare il mondo diversamente,ripensare al proprio ruolo nella società e nella coppia ed accettare i cambiamenti del corpo. Molte donne non si sentono pronte a farlo o pensano di non esserlo, così vivono questo momento con un forte stress. Molte donne raccontano: “Sono caduta in un abisso,un buco nero senza via di uscita; sono incapace di essere felice e di vivere a pieno la gioia più grande della vita; sono sola; sono una pazza; sono una madre cattiva; agli altri interessa solo il bambino; a volte penso che tutti starebbero molto meglio senza di me; ho difficoltà ad allattare oppure non ho il latte quindi sono inadeguata a nutrirlo; è come se vivessi in un deserto sperduto; sono scesa vertiginosamente all’inferno; sono una madre cattiva e causo sofferenze e distruzione”.
La DPP non ha conseguenze solo sulla mamma ma anche e soprattutto sullo sviluppo fisico ed emotivo del bambino, interrompendo il legame tra di loro.
Le sue manifestazioni interferiscono con la capacità della donna di prendersi cura del neonato e di se stessa. Nella diade madre-figlio,infatti,la madre mostra minore calore emotivo ed affettivo nel rapporto con il figlio, è meno sensibile alle sue manifestazioni di disagio, è meno capace di discriminare i differenti tipi di pianto, si impegna poco in attività condivise (Tra Nick,2005), ed è meno pronta a rispondere in maniera adeguata alle richieste e ai segnali.
La madre,inoltre, non riuscendo a entrare in sintonia con il figlio non risponde correttamente alle sue esigenze, non stabilisce un legame affettivo, di conseguenza il bambino avrà un attaccamento insicuro con rischio di avere difficoltà o ritardo nello sviluppo (Machan, 2004); maggiori probabilità di avere problemi cognitivi, comportamentali, emotivi e sociali; disturbi psichiatrici (Pearlstein); difficoltà a regolare la paura e l’ansia.
La DPP non deve essere un tabù. La serenità delle mamme è una priorità per il benessere delle donne e del bambino. Parafrasando un proverbio, secondo cui “ci vuole un villaggio intero per prendersi cura del bambino”, invece, per il benessere di una neomamma ci vuole una rete familiare e amicale attenta e preparata a raccogliere i suoi bisogni senza giudizi, pressioni o aspettative irrealistiche. Ciò avrà dei benefici sulla mamma, ma anche sulla prole e su tutto il nucleo familiare.
La DPP è normale. Non un disturbo serio, ma trattabile. Se le donne iniziano a chiedere aiuto e a non aver paura di dire che si sentono strane ed inadatte, se la società ed il sistema sanitario intervengono tempestivamente nell’offrire sostegno psicologico, possiamo smantellare e debellare gli stereotipi sull’essere madre.
Non si impara magicamente a essere mamma.
Non ci sono genitori perfetti ma si diventa “genitore sufficientemente buono”, anche sbagliando. Allora,insegnamo nei corsi prenatali che il mestiere di mamma è faticoso e a volte ci si sentirà fuori luogo.
Alcuni consigli utili:
– evitare l’isolamento e chiedere aiuto;
– prendere del tempo per se stessa;
– ridimensionare le proprie aspettative;
– fare ciò che si riesce, il resto bisogna delegare a chi è vicino;
– ricordare che il modo migliore per prendersi cura del proprio bambino è prendersi cura di sé stessi.
Non esistono mamme perfette,ma imperfette. Per il tuo bambino sei la mamma migliore che c’è, perché ogni bambino vuole la sua, così com’è. Cara mamma tuo figlio ha solo bisogno di una madre che lo ami, lo protegga e lo ascolti.
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