Sulla natura del dolore del parto, la definizione più calzante appare essere quella di Lowe che lo descrive come esperienza dolorosa, risultato di processi complessi e fattori multipli, fisiologici e psicosociali, sulla base di una interpretazione individuale della donna dello stimolo nocicettivo del travaglio.

Nel 2000 una dichiarazione congiunta dell’American Society of Anesthesiologists e l’American College of Obstetricians and Gynecologists, affermava che non ci sono altri casi, nei quali viene considerato accettabile che un individuo debba sopportare un dolore severo, senza trattamento, quando è possibile invece intervenire in modo sicuro sotto controllo medico. Nella medesima dichiarazione, la richiesta materna diventava una giustificazione sufficiente per alleviare il dolore durante il travaglio.

Negli ultimi anni si è assistito ad un cambiamento dei programmi di assistenza alla nascita, nel tentativo di superare la vecchia rappresentazione, culturalmente condivisa, che vede il parto strettamente legato ad un concetto di sofferenza biblica, per arrivare a considerare il travaglio e l’evento nascita come esperienze complesse e cruciali a cui la donna ha diritto di partecipare in maniera serena e costruttiva, avendo la possibilità di controllare gli eventi e soprattutto il dolore da lei percepito.

Nel 2018 l’Organizzazione Mondiale della Sanità, nel “Intrapartum Care for a positive childbirth experience” inserisce le strategie farmacologiche di controllo del dolore in travaglio come un diritto inalienabile della partoriente.

La Commissione nazionale sui livelli essenziali di assistenza (dicembre 2017) promuove il “controllo del dolore durante il travaglio e il parto vaginale tramite procedure analgesiche” tra i livelli essenziali garantiti dal SSN, con l’obiettivo di “tutelare la scelta della donna perché durante il travaglio e il parto possa usufruire di un controllo efficace del dolore mediante le più appropriate procedure analgesiche attualmente disponibili nel massimo della sicurezza propria e del nascituro”.

Partoanalgesia

Attualmente l’analgesia locoregionale perimidollare, con le sue differenti metodiche (epidurale, combinata epidurale/spinale) è considerata il metodo più efficace per combattere il dolore del travaglio e del parto. Questa, proprio per la sua modulabilità e flessibilità, concede la possibilità di adeguarsi non solo alle diverse fasi del travaglio ma alla donna stessa, alle sue caratteristiche e alle sue aspettative, permettendo di ottenere un’analgesia ottimale e pienamente soddisfacente, nel rispetto dell’andamento fisiologico del parto.
La possibilità di un travaglio senza dolore, in cui la deambulazione è garantita così come l’assunzione di posizioni libere in travaglio, riduce sicuramente nella donna quel senso di “medicalizzazione” legato al ricovero in ospedale che comunque, nell’ultimo mezzo secolo, ha fatto decisamente crollare la mortalità materna e neonatale.
Il dolore del parto infatti di per sé può assumere effetti negativi quando sia molto intenso e prolungato, tanto che esistono delle situazioni abbastanza precise che possono essere considerate delle vere e proprie indicazioni all’analgesia epidurale. In particolare quest’ultima, assume un ruolo importante quando si presentano le seguenti condizioni: ipertensione indotta dalla gravidanza, prematurità, ritardo della crescita intrauterina, travaglio prolungato, contrattilità uterina non coordinata, travaglio indotto, malattie cardiache, respiratorie o neurologiche e il diabete mellito della madre.

Benefici per la mamma e per il bambino

I benefici attualmente accertati per la madre in seguito ad analgesia perimidollare sono: eccellente controllo del dolore, riduzione del consumo di ossigeno, riduzione dell’iperventilazione, controllo dell’acidosi metabolica, riduzione dell’increzione di catecolamine e di ormoni da stress, miglioramento del circolo placentare, riduzione dell’ansia e cosa molto importante madri più rilassate e cooperanti.
Di riflesso, anche il neonato trae benefici dall’analgesia epidurale in relazione a quelli materni suddetti, nello specifico si riscontrano: ridotta acidosi metabolica, migliorata circolazione placentare come risultato della vasodilatazione, riduzione del consumo di O2 e miglioramento dell’ossigenazione .
Nonostante questi benefici, si continua a discutere se l’analgesia possa essere in qualche modo responsabile, o meglio, corresponsabile di modificazioni della dinamica del travaglio ed al suo espletamento fisiologico, e le informazioni desunte dalla letteratura scientifica al riguardo si rilevano spesso inconclusive.

a cura di Maria Grazia Frigo
Specialista in Anestesia e Rianimazione
Specialista in Ostetricia e Ginecologia
UO Anestesia e TI Ostetrica Ospedale Fatebenefratelli Isola Tiberina Roma