Quando nella vita accadono eventi spiacevoli come la perdita di una persona cara o una separazione, la prima reazione che l’adulto tende a mettere in campo è il gestire il tutto all’insaputa o quasi del bambino che, a suo dire, potrebbe esserne profondamente ferito.

Ci dimentichiamo, così, che già da prima dei tre anni d’età i bambini si trovano ad ascoltare e vivere momenti di dolore attraverso le favole, la televisione o il web, e che, seppur non riescano ancora a comprendere appieno il significato della perdita, possono percepire il clima che si viene a creare attorno a loro e farsi quindi una personale idea dell’accaduto.
Infatti, il bambino fin da subito ha una sua dignità, che l’adulto tende troppo facilmente a dimenticare e su cui a volte è portato a soprassedere, mettendo in atto tecniche di iperprotezione quando, invece, sarebbe opportuno dar voce e far emergere il dolore provato, da entrambi.
A partire dai tre anni, poi, entra in gioco il pensiero magico che fa percepire la morte come qualcosa di reversibile, ma soprattutto il bambino inizia a porsi delle domande sull’accaduto e, come è facile immaginare, qualora non trovi le risposte cercate, tenderà a dare la colpa a sé stesso, ad isolarsi e regredire. Ma ecco che ci vengono in aiuto le storie. Attraverso le favole, i cartoni animati o le canzoni possiamo trovare le parole giuste, quelle che fanno emergere e consolano dal dolore, così che siamo in grado di coinvolgere il nostro bambino in quello che accade, senza alimentare in lui sentimenti negativi e disfunzionali.

lutto bambini 

La ricerca delle parole corrette

Un compito fondamentale che l’adulto deve essere in grado di mettere in atto è la ricerca delle parole corrette, che non lascino spazio a fraintendimenti o inutili speranze. Dire, infatti, ad un bambino che il nonno “è partito per un viaggio” fa scaturire in lui una serie di congetture sul perché se n’è andato senza salutarlo, alimentando un senso di colpa che invece non dovrebbe esistere, e la speranza di un ritorno che lo fa rimanere in attesa fino a quando, prendendo coscienza del significato di quelle parole, si sentirà tradito anche da noi che avremmo dovuto proteggerlo. Sentenziare che il bambino “ha perso” una persona cara può far nascere in lui un nuovo sentimento di colpa e vergogna per la distrazione di aver perso/abbandonato qualcosa per strada, se ne avesse avuto più cura questo non sarebbe successo, ben diverso, invece, dal dire “ha subito una perdita” che pone l’accento sul significato passivo dell’azione, su cui il bambino non avrebbe in alcun modo potuto intervenire. “È mancato”, infine, impone già al bambino l’idea di aver perso un pezzo di sé, che può essere funzionale per i ragazzi più grandi, mentre alcuni si potrebbero sentire in colpa qualora non riuscissero a provare ed esternare il dolore che queste parole richiedono loro di vivere.
Insomma, perché non usiamo semplicemente il termine “morto”? Dire che il nonno “è morto” aiuta anche i bambini più piccoli a basarsi sul reale, sulla stagionalità di una qualunque vita (la natura, gli animali e le stagioni stesse), normalizzando l’accaduto e tralasciando il significante, quella parte che per essere compresa deve essere relata ad un background sociale che spesso il bambino non possiede ancora. Ed ecco, dunque, l’importanza della fiaba che attraverso le sue parole insegna ai bambini, ma non solo, l’importanza dell’empatia, del mettersi nei panni degli altri per comprenderne il vissuto, ma anche la creatività dei diversi modi reagire alla vita, facendo scaturire il meglio possibile da colui che sta leggendo. Attraverso le varie prove, l’orrore del male che troviamo in esse, i fallimenti, possiamo capire e vivere l’importanza di non scoraggiarsi, di poter superare le sfide più dure insieme all’adulto che ci protegge, ma allo stesso tempo ci lascia sperimentare, non si sostituisce a noi. Anche se sappiamo che il finale è scontato, pensate al classico “e vissero felici e contenti”, la fiaba ci permette di godere del viaggio e di quello che da esso impariamo, proprio come accade con la morte.
Conoscere e comprendere l’esistenza della morte fin da bambini permette di godere appieno delle bellezze della vita, affinché quando arriverà la fine (certa come il “vissero felici e contenti”) potremmo viverla come una degna conclusione di un percorso magico.

Una canzone per “spiegare” la morte

Ora una citazione d’obbligo va al mondo della musica, in particolare al brano di Lorenzo Baglioni “Se non ci fosse la morte”. Questa canzone diventa fondamentale nel nostro percorso di accompagnamento del bambino alla conoscenza della morte, infatti attraverso le sue rime ci permette di comprenderne l’importanza: se non ci fosse la morte, non ci sarebbe nemmeno la vita, si andrebbe così a perdere la ciclicità che rende avvincente la nostra avventura sulla terra.
Fiabe, canzoni, film e cartoni animati, dunque, possono essere sinceri alleati nell’affrontare una sfida che prima di tutto è dell’adulto.

bimba prega

Parola d’ordine: sincerità

Il bambino , infatti, deve prima essere conscio delle sfide che quel testo pone, senza nascondersi dietro la menzogna e l’edulcorazione addomesticata, saper cogliere gli ancoraggi da questi forniti per riflettere insieme, saper vivere e mostrare al bambino le emozioni che in lui scaturiscono, bandendo però la disperazione, unico vero scoglio all’elaborazione e alla conoscenza della morte.
Il bambino già sa che il tempo ha una fine (finisce il tempo del gioco, del pasto e del sonno), ma insieme all’adulto deve imparare ad affrontare un’eventuale fine anticipa, un “no” arrivato troppo presto che l’adulto sa motivare e accompagnare il piccolo attraverso la frustrazione che ne consegue.
Per concludere è fondamentale ricordarsi che i bambini hanno una fervida immaginazione e curiosità, con tempi di accettazione e di assorbimento diversi da quelli degli adulti, per questo vanno accompagnati alla ricerca di risposte vere e reali!