“Solo coloro che si tengono lontani dall’amore possono evitare la tristezza del lutto.
L’importante è crescere, tramite il lutto e rimanere vulnerabile all’amore”
(John Brantner)

La morte è una tra le paure ancestrali più radicate negli esseri umani. Nella nostra cultura occidentale quasi non si nomina, non se ne parla.
Ma perché la morte fa così paura? Il dolore provocato dalla morte di una persona a cui siamo legati è forse una delle più intense esperienze che dobbiamo affrontare nella nostra vita. È come una ferita aperta, che lentamente cerca di cicatrizzarsi.
Le condizioni storico e sociali attuali hanno cambiato l’esperienza del lutto, una volta il lutto era un fenomeno comunitario, tutti si riunivano attorno a chi aveva perso un proprio caro, si usava vestire di nero, si rispettavano le visite di condoglianze.
Adesso, se da un lato siamo più liberi, dall’altro siamo più soli. Il lutto si configura come un qualcosa di individuale e interiore.
È importante tenere presente che pur essendo un momento difficile, il lutto va vissuto poiché solo se attraversato intensamente potrà essere superato e integrato realmente nella nostra esistenza.
Con il termine “elaborazione del lutto” si intende infatti quel processo mentale di riconoscimento e accettazione di una perdita subita, sia questa la morte di una persona o il suo allontanamento.
Lo psicoanalista britannico J. Bowlby, nel suo libro “Attaccamento e perdita”, individua alcune sottofasi di questo processo di elaborazione: inizialmente si prova shock e incredulità, è attivo il meccanismo difensivo di negazione, secondo il quale non riusciamo a credere alla morte del nostro caro. Una volta realizzata la perdita, ci si scontra con il dolore fisico, la rabbia verso il mondo esterno e verso chi ci ha lasciato.
Ci si sente abbandonati, si prova angoscia di separazione, ci assale il senso di colpa per non aver fatto tutto il possibile o per aver lasciato questioni in sospeso.
Il superamento di questo forte dolore, nonostante tristezza e senso di perdita possano rimanere, porta all’accettazione che quella persona non tornerà più.
Si interiorizza la persona perduta come parte del proprio mondo interno.
Bisogna precisare che il processo di elaborazione del lutto è soggettivo e può durare per tempi variabili in base a fattori personali e situazionali.
Un lutto ben elaborato ci può consentire di parlare ai nostri figli della morte. Se noi adulti non siamo per primi tranquilli, risulta difficile affrontare con i propri figli l’argomento in modo sereno.
I bambini non vivono in un mondo protetto, la morte tocca le loro famiglie, il loro ambiente, non dobbiamo evitare di parlargli della morte, ma bisogna insegnarli a non averne paura. Ricordiamoci che i bambini sono in grado di affrontare anche le esperienze più difficili, se accompagnati per mano.
È importante parlare loro della morte non solo in risposta ad eventi dolorosi, a una perdita, ma riuscire a spiegargli in modo chiaro, semplice e sincero che la morte è naturale, che l’esistenza umana è destinata ad avere una conclusione, così come ha un inizio.

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