Uno studio prospettico condotto da UNIMORE apre nuove prospettive per ridurre sempre più precocemente il rischio di pre-eclampsia, fin dal primo trimestre di gravidanza.
La pre-eclampsia (altrimenti nota come gestosi) è una delle complicanze più temute in gravidanza in quanto è una patologia che interessa fino a una futura mamma su otto e che, se non diagnosticata e trattata tempestivamente, può causare problemi seri sia alla gravida che al bambino.
Che la pre-eclampsia costituisca un serio pericolo per le donne è noto fin dall’antichità: addirittura Ippocrate, considerato il padre della medicina scientifica, nei suoi trattati risalenti al IV secolo a.C. la considerava come la più seria complicanza della gravidanza. Oggi, la pre-eclampsia può essere gestita correttamente, soprattutto se diagnosticata sempre più precocemente.
A questo proposito, è stato recentemente pubblicato su Pregnancy Hypertension: An International Journal of Women’s Cardiovascular Health lo studio prospettico osservazionale “Modello di previsione del primo trimestre per i disturbi vascolari della placenta” condotto dal Prof. Fabio Facchinetti e dalla Dott.ssa Francesca Monari dell’Università degli studi di Modena e Reggio Emilia (UNIMORE), che ha confermato e evidenziato come sia possibile sviluppare un modello predittivo multi-variabile che consente di diagnosticare precocemente le pazienti a rischio di sviluppare di pre-eclampsia e altre complicanze vascolari severe come la morte in utero, grazie all’analisi combinata dei risultati di parametri biochimici e biofisici indagati nel primo trimestre di gravidanza.
Le analisi dei parametri biochimici sono state eseguite grazie al contributo di PerkinElmer che ha messo a disposizione strumentazione dedicata (DELFIA EXPRESS) e relativi reagenti. Tali risultati consentono di aprire nuove e più ampie prospettive di diagnosi precoce e prevenzione di questa patologia.
Ma che cos’è la pre-eclampsia? Facciamo chiarezza.
Scientificamente parlando, la pre-eclampsia (PE) è il riscontro di pressione arteriosa superiore a 140/90 mmHg in almeno due misurazioni a distanza di 4 ore in pazienti normotese dopo la ventesima settimana di gestazione, in associazione a proteinuria, condizione caratterizzata dalla presenza cospicua di proteine nelle urine, evidenza di danno d’organo materno (insufficienza renale acuta, danno epatico, segni neurologici o complicanze ematologiche) o disfunzione utero placentare, come la restrizione di crescita fetale. La PE è una condizione di rapida progressione, che si verifica dopo 20 settimane di gestazione e fino a 6 settimane dal parto, oltre che una delle principali cause di morbilità e mortalità materna e perinatale specialmente quando è ad insorgenza precoce (<34 settimana).
Inizialmente asintomatica, la pre-eclampsia rimane silente fino all’aggravarsi del quadro generale e ciò, in molti casi, può contribuire al ritardo della diagnosi e, quindi, del controllo della malattia. Se non correttamente diagnosticata e trattata, la PE può determinare gravi conseguenze per la madre (es. aumento del rischio di eventi cardiovascolari e ischemici) e per il nascituro (es. basso peso alla nascita, rischio aumentato di necessità di cure intensive neonatali).
L’importanza delle visite di controllo pre-natali
Ecco perché, allora, è essenziale una corretta cura prenatale, come spiega la Dott.ssa Francesca Monari: «Nonostante la pre-eclampsia sia responsabile, ogni anno, della morte di 76.000 donne e 500.000 neonati, soprattutto nei paesi a scarse risorse ma anche in nazioni industrializzate come gli Stati Uniti, dove la patologia rappresenta la seconda causa di morte materna, non è ancora noto il meccanismo responsabile della sua insorgenza. Si pensa, tuttavia, che la causa della pre-eclampsia sia dovuta a una cattiva formazione della placenta che innesca nell’organismo materno una sorta di ‘non adattamento alla gravidanza’. Anche se molto rischiosa, e potenzialmente fatale, la pre-eclampsia è però una condizione che può essere diagnosticata precocemente. E questo grazie ad accurate visite di controllo prenatali, ma anche all’osservazione di eventuali ‘campanelli d’allarme’ che ogni donna in gravidanza non deve mai omettere».
I campanelli d’allarme
«Aumento della pressione del sangue, mal di testa persistente, visione offuscata o sensibilità alla luce, come pure gonfiore di viso e piedi sono segnali da non trascurare. Un’attenzione particolare – continua la Dott.ssa Francesca Monari – deve riguardare le nullipare, ovvero le donne alla prima gravidanza, con età superiore ai 40 anni e un indice di massa corporea >30.
Esistono anche altre condizioni cliniche che si associano ad un aumentato rischio di PE come l’ipertensione cronica, il diabete pregestazionale e la storia di PE in una precedente gravidanza. Si tratta di fattori di rischio che sono associati sia alla PE pretermine, che in tutto il mondo, è responsabile fino al 20% dei 13 milioni di nascite pretermine ogni anno, ma anche a quella a termine, che è più frequente e fortunatamente meno severa».
Quando si tratta di prevenzione della pre-eclampsia, prima si identificano le donne in grado di sviluppare questa condizione, migliore sarà l’esito per madre e figlio. Lo studio prospettico condotto dall’Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia ha avuto come obiettivo quello di valutare nella popolazione italiana, ove la sola PE ha una incidenza relativamente bassa, ma non trascurabile (2-3%), la sensibilità dei markers biochimici noti dalla
Fetal Medicine Foundation (FMF) in associazione ad altri indici biochimici, allo scopo di ottenere più modelli che possano predire, nel primo trimestre di gravidanza, gli esiti avversi perinatali correlati ai disturbi vascolari della placenta, tra i quali appunto la pre-eclampsia.
«Nello studio prospettico che abbiamo condotto tra giugno 2018 e dicembre 2019 presso il Policlinico di Modena – spiega il Prof. Fabio Facchinetti – abbiamo incluso tutte le donne che accedevano allo screening del primo trimestre per le aneuploide cromosomiche tramite il test combinato, il cosiddetto Bitest. Alle pazienti che avevano espresso il consenso è stato effettuato anche un prelievo ematico per il dosaggio dei markers biochimici appartenenti all’algoritmo della FMF (PAPP-A, PlGF), oltre che per l’Inibina A, l’interleukina 6, l’insulina, HDL e i trigliceridi. I primi tre marcatori sono stati misurati mediante il sistema DELFIA EXPRESS di PerkinElmer, che li ha resi gratuitamente. Le pazienti arruolate venivano poi sottoposte alla misurazione della pressione arteriosa media, secondo le modalità della FMF, all’ecografia per la velocimetria doppler delle arterie uterine da parte di medici accreditati, oltre che alla compilazione di un questionario suifattori di rischio per la cefalea. Lo studio ha quindi confermato come nella nostra popolazione la sola PE incide per una percentuale inferiore al 2%, mentre quando si considerano anche le altre condizioni patologiche placentari, tali complicanze molto temute della gravidanza salgono all’8%.
Il nostro studio ha permesso di confermare la validità del dei parametri già noti e facenti parte dell’algoritmo della FMF (Bodi mass index, pressione arteriosa media, PAPP-A e PlGF) e di sviluppare un modello multiparamentrico che può predire, già dal primo trimestre (con una ottima sensibilità e una soddisfacente specificità) lo sviluppo di complicanze vascolari placentari, oltre alla PE. Tale modello rappresenta una finestra di opportunità per intervenire precocemente nel primo trimestre in diverse modalità: un’assistenza ostetrica individualizzata, interventi di life style, supplementazioni con integratori e profilassi con aspirina a basse dosi».
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