a cura del dott. Pietro Giannitti, farmacista
L’analisi, condotta da Giancarlo Isaia, docente di geriatria e presidente dell’Accademia di Medicina di Torino e da Enzo Medico, ordinario di Istologia, anche a seguito delle recentissime raccomandazioni della British Dietetic Association, ha evidenziato che una buona percentuale di italiani affetta da Covid presenta un notevole deficit di Vitamina D nel sangue.
Anzi, a dirla tutta, questa insufficienza interessa una vasta fetta della popolazione, senza distinzione di età e sesso. I primi dati raccolti in questi giorni a Torino indicano, infatti, che i pazienti ricoverati per Covid-19 presentano una elevatissima prevalenza di Ipovitaminosi D.
Il deficit di vitamina D rappresenta oggi un problema di salute pubblica mondiale. Oltre il 50% della popolazione anziana europea e americana, comprendente sia uomini che donne, presenta una carenza o una insufficienza.
Nonostante la latitudine del nostro paese, è stato riportato che la popolazione italiana è tra quelle con i più bassi livelli di vitamina D in Europa. L’inadeguata esposizione solare rappresenta la causa principale del deficit di vitamina D. Alle nostre latitudini la produzione di vitamina D legata all’esposizione solare è trascurabile nei mesi invernali; inoltre in Italia i cibi non vengono addizionati in vitamina D e di conseguenza la correzione del deficit è affidata alla supplementazione farmacologica.
Si riporta di seguito per intero la presentazione in oggetto
“In riferimento alle misure utili per contrastare gli effetti della pandemia da Coronavirus, riteniamo opportuno richiamare l’attenzione su un aspetto di prevenzione, meno noto al grande pubblico, l’Ipovitaminosi D il cui compenso, in associazione alle ben note misure di prevenzione di ordine generale, potrebbe contribuire a superare questo difficile momento. Sulla base di numerose evidenze scientifiche e di considerazioni epidemiologiche, sembra che il raggiungimento di adeguati livelli plasmatici di Vitamina D sia necessario anzitutto per prevenire le numerose patologie croniche che possono ridurre l’aspettativa di vita nelle persone anziane, ma anche per determinare una maggiore resistenza all’infezione COVID-19 che, sebbene con minore evidenza scientifica, può essere considerata verosimile.
Tale compenso può essere raggiunto anzitutto con l’adeguata esposizione alla luce solare, poi alimentandosi con cibi ricchi in Vitamina D e in ultimo con l’assunzione di specifici preparati farmaceutici, sempre sotto controllo medico.
Questa raccomandazione è utile per la popolazione generale, ma è particolarmente pregnante per i soggetti già contagiati, i loro congiunti, il personale sanitario, gli anziani fragili, gli ospiti delle residenze assistenziali, le donne in gravidanza, le persone in regime di clausura e tutti coloro che per vari motivi non si espongono adeguatamente alla luce solare. Inoltre, potrebbe essere considerata la somministrazione in acuto del calcitriolo per via e.v. in pazienti affetti da COVID-19 con funzionalità respiratoria particolarmente compromessa.
Anche se non vi è pieno accordo fra le diverse Società Scientifiche, possiamo considerare come accettabili nella popolazione generale valori superiori a 20 ng/ml, mentre negli anziani sarebbe opportuno raggiungere almeno i 30 ng/ml.
La Vitamina D può essere sintetizzata dalla cute, per effetto delle radiazioni ultraviolette emesse dalla luce solare, che determinano la conversione del 7- deidrocolesterolo in Colecalciferolo, oppure può essere assunta con gli alimenti. Una volta prodotto dalla cute, o assunto con gli alimenti, il Colecalciferolo si accumula nel tessuto adiposo per essere poi gradualmente rilasciato e per andare incontro a due successive idrossilazioni, la prima nel fegato (25 OHD) e la seconda nel rene, con produzione della sua forma attiva (1-25 OH2 D3 o calcitriolo) che poi, legandosi a specifici recettori, agisce su diversi tessuti con un meccanismo simil-ormonale. Durante l’inverno, i livelli di Colecalciferolo si riducono sensibilmente, sia per la minore irradiazione solare e sia per l’esaurimento delle riserve accumulate durante l’estate: per questo motivo, nei mesi di febbraio/marzo vi è un maggiore rischio della sua carenza.
Considerazioni epidemiologiche
1) L’Italia è uno dei Paesi Europei (insieme a Spagna e Grecia) con maggiore prevalenza di ipovitaminosi D. Nel Nord Europa la prevalenza è minore per l’antica consuetudine di addizionare cibi di largo consumo (latte, formaggio, yogurt ecc.) con Vitamina D (www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/10197176).
2) In Italia, è stato dimostrato (https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/12856111) che il 76% delle donne anziane presentano marcate carenza di vitamina D, senza peraltro significative differenze regionali.
3) La ridotta incidenza di COVID-19 nei bambini potrebbe essere attribuita alla minore prevalenza di Ipovitaminosi D conseguente alle campagne di prevenzione del rachitismo attivate in tutto il mondo dalla fine dell’Ottocento.
4) L’insorgenza di un focolaio in Piemonte in un convento di suore di clausura, popolazione a più elevato rischio di Ipovitaminosi D, costituisce un altro elemento suggestivo sul possibile ruolo protettivo della Vitamina D sulle infezioni virali.
5) La distribuzione geografica della pandemia sembra potersi individuare maggiormente nei Paesi situati al di sopra del tropico del cancro, con relativa salvaguardia di quelli subtropicali.
Sulla base dei dati emersi, sarebbe consigliabile cercare di aumentare l’assunzione di Vitamina D. E non a caso gli esperti consigliano, anche durante la clausura forzata in casa, di prendere un pò di sole per almeno 30-50 minuti al giorno. Nel cibo la vitamina D si trova in diversi alimenti. Anzitutto la troviamo nel pesce, con salmone, sardine ed aringhe in testa. Ma anche nel tonno e nel merluzzo, ed in crostacei o frutti di mare come gamberi ed ostriche. Pure i funghi ed i tuorli d’uovo ne sono ricchi, così come il latte di soia, quello di mucca, il succo d’arancia (ricchissimo soprattutto dell’altrettanto utile vitamina C) e cereali e farina d’avena. La dose raccomandata di integrazione è di almeno 1500 – 2000 UI (Unità Internazionali) al giorno, in forma di Vitamina D3, la più assimilabile e funzionale per l’organismo umano. Sul mercato sono presenti numerosi prodotti sia farmaceutici che integratori alimentari che con una sola assunzione giornaliera garantiscono il giusto dosaggio raccomandato.