Nella pratica ambulatoriale è frequente osservare dei lattanti per i quali i genitori riferiscono delle crisi di pianto prolungate. In assenza di segni di malattia la diagnosi è di solito quella di “coliche gassose” o “coliche del lattante”.
Per lo più si tratta di lattanti nei primi tre mesi di vita il cui unico reperto obiettivo è la crisi di pianto prolungato, spesso accompagnata da un forte desiderio di succhiare; con quest’ultimo contrasta però spesso il rifiuto del biberon o del seno materno dopo poche suzioni. Questa impossibilità di calmare il bambino con il pasto è spesso una causa di notevole stress per i genitori, che finiscono per adottare comportamenti che irritano ancora di più il lattante (ad es. un frequente dondolio del piccolo), creando cosi un circolo vizioso. Infatti una delle caratteristiche principali di questi bambini è la relativa inefficacia dei diversi tentativi messi in atto dal genitore per consolarli.
La “regola del tre”
Per tentare di ovviare ad una interpretazione troppo soggettiva dei sintomi da parte dei genitori, in diversi studi è stato adottato un criterio arbitrario di quantificazione; per lo più sono stati ammessi allo studio bambini che, in assenza di altri segni patologici, presentavano crisi di pianto che duravano più di 3 ore, per più di 3 volte a settimana, per almeno 3 settimane, nei primi 3 mesi di vita. Questa regola del 3, sebbene arbitraria, da un lato evita inutili visite mediche, esami, manipolazioni dietetiche ad un gran numero di bambini che hanno una “quantità” di pianto che rientra nella variabilità “normale”, dall’altro consente di tranquillizzare dei genitori stremati facendo loro intravedere un termine (le 3 settimane appunto) alla sintomatologia.
Perché si manifestano le coliche?
Numerose sono le cause aneddoticamente riportate per le coliche del lattante: si va dagli errori nell’alimentazione (troppo latte, troppo poco, troppo in fretta ecc.), alla eccessiva produzione intestinale di gas, (peraltro di difficile dimostrazione), all’intolleranza alimentare, ai disturbi della relazione madre-bambino (per il ripetersi delle crisi di pianto che generano ansia e frustrazione nella madre).
L’intolleranza alimentare, soprattutto alle proteine del latte vaccino (PLV), ha ricevuto molta attenzione, e non mancano studi che hanno portato qualche evidenza a tale associazione. Tuttavia anche se l’alimentazione con un idrolisato di caseina aveva portato alla scomparsa delle coliche in circa la metà dei casi non sempre c’era una recidiva ad un successivo test di provocazione con PLV; per cui la diagnosi di intolleranza alle PLV rimane per lo meno dubbia.
Esiste una terapia?
L’aneddotica popolare riporta un gran numero di “manovre” che potrebbero calmare i bambini con le coliche: si va dal “giretto” in automobile, al far ascoltare al piccolo rumori fastidiosi (asciugacapelli, lavatrice ecc.) o ritmici (tic-tac di una sveglia), al cambiare il tipo di tettarella, ecc.
È probabile che un gran numero di genitori trovino da soli il proprio “rimedio” senza neppure consultare il pediatra, in altri casi il medico stesso può consigliare qualche tentativo.
È comunque importante che ciò non sia proposto come “la cura”, perché si corre il rischio che il probabile insuccesso non faccia che rafforzare l’ansia e la frustrazione del genitore. È invece importante rassicurare sull’ottimo stato di salute del piccolo e sulla regolarità della crescita e degli altri indicatori dello sviluppo, tranquillizzando circa la probabile cessazione del disturbo entro qualche settimana.
Alcuni farmaci godono di una discreta popolarità nel trattamento delle coliche del lattante, anche se mancano dimostrazioni rigorose della loro efficacia.
Allo stato attuale non vi sono elementi certi (tranne considerazioni di prezzo e di palatabilità) per preferire, quali sostituti della normale formula adattata, le formule a base di idrolisati di proteine del latte. Va infine ricordato che anche l’eventuale miglioramento dei sintomi dopo modificazione dietetica, non costituisce ancora una diagnosi di intolleranza alle PLV; perché questa possa essere stabilita,è necessario eseguire un test di provocazione con PLV non appena sia clinicamente possibile.
a cura del dr. Vittorio Gaudiello, Pediatra
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