Il rapporto tra bambini e pubblicità rappresenta un dannoso problema, argomento di studio e dibattito tra gli esperti, motivo di frustrazione tra i genitori che, spesso si ritrovano a combattere un’impari lotta con gli spot nel tentativo di far capire al bambino che non tutto è oro quel che luccica.
Per i bambini, almeno sino ai cinque/sei anni la pubblicità è un programma come un altro, che si pone senza soluzione di continuità nel fluire televisivo e nel quale ritrovano i personaggi del cartoon preferito che si rivolgono loro in prima persona, oppure altri bambini che mangiano la stessa merenda o gli stessi biscotti che consumano a colazione, innescando un forte processo di identificazione.
Ma com’è possibile che gli spot televisivi abbiano un impatto così potente sui bambini?

Analizziamo gli aspetti che rendono piacevoli gli spot televisivi:

– la brevità spazio-temporale che porta ad una fruizione intensa in un tempo ridottissimo;
– la semplicità e la familiarità dei contesti;
– la semplicità verbo-iconica e la relazione strettissima tra suoni ed immagini che ne permette la rapida assimilazione;
– l’attratività dei modelli proposti, condivisi con i coetanei e ritenuti strumento di accettazione ed integrazione nel gruppo di pari.

Ma la pubblicità agisce anche ad un altro livello:

i continui movimenti sullo schermo, i cambi di inquadratura, l’aumento del volume, attivano continuamente il sistema nervoso del bambino. Il bambino non ha alcuna possibilità di riflettere su quanto appena visto, lo spot successivo sommerge immediatamente quello appena visto. Inoltre la sollecitazione simultanea di visto, udito con immagini e suoni eccita il sistema nervoso del piccolo spettatore.
La fonte stessa del messaggio, la televisione catalizza la vista impedendo al bambino distrazioni.  La tv evoca emozioni e propone contesti familiari, un clima di armonia e serenità che i bambini percepiscono come simile a quello che vivono (o vorrebbero vivere) tra le mura domestiche.
Lo scopo delle campagne pubblicitarie rivolte ai bambini è quello di creare in loro un desiderio, un bisogno in modo che il bambino divenga insistente con le sue richieste, assillando genitori e parenti perché acquistino un determinato prodotto (nag factor o fattore assillo).

Ma non solo:

un bambino ben condizionato viene anche fidelizzato ad un marchio, un prodotto, uno slogan che evocheranno in lui una risposta emotiva. Basterà, anche negli anni successivi vedere una confezione, ascoltare una canzoncina perché in lui nascano sentimenti piacevoli di protezione o di calore, di gioia o di avventura.
Per raggiungere questi scopi i pubblicitari vengono spesso supportati da psicologi dell’età evolutiva, che grazie alla loro conoscenza delle dinamiche inconsce dei bambini sanno bene quali sentimenti smuovere.
Davanti un bambino ben condizionato, convinto che quel prodotto sia stato creato appositamente per lui, il genitore che volesse opporsi all’acquisto assume la connotazione del cattivo e deve fare un lavoro supplementare, ma necessario per impedire che sia la pubblicità e non lui, ad educare il bambino.

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