I bambini hanno bisogno di molto meno rispetto a quanto si creda oggigiorno.
Non hanno bisogno di “super-genitori” che sappiano risolvere ogni dubbio, o prendere decisioni senza mai sbagliare.
Non hanno bisogno di genitori che si sacrificano sistematicamente per metterli al primo posto.
Non hanno bisogno di divertirsi sempre. E neppure necessitano di avere accanto genitori che siano sempre felici e positivi, e pieni di energia. Non hanno bisogno di avere tutto il loro tempo organizzato, di fare sport per imparare a stare con gli altri, di imparare una lingua straniera il più presto possibile.

I bisogni dei bambini  per creare fondamenta solide
I bisogni dei bambini sono pochi e semplici. Il primo è la sicurezza, l’essere protetti. Qua ci viene in aiuto un fortissimo istinto genitoriale che la natura ci ha dato in dono.

Hanno poi bisogno di vicinanza, ovvero di adulti presenti fisicamente ed emotivamente, che siano connessi con loro, li osservino, dialoghino, si raccontino anche. Che siano interessati a loro, a come stanno, a cosa desiderano.
Comportandosi così non si corre il rischio di viziarli o di renderli dipendenti. Anzi, la ricetta perfetta per generare figli fragili e dipendenti è proprio il negare la presenza, imporre ai neonati di dormire soli, di non stare a contatto con i genitori, di stare da subito nelle loro culle e camerette.

L’indipendenza si nutre di presenza: un bambino che ha riempito fino all’orlo il “contenitore interno” della presenza, attingendo dai suoi genitori, quando sarà pronto correrà con gioia e sicurezza verso il mondo e si volterà indietro solo ogni tanto, perché la sicurezza la sentirà nel cuore, l’avrà fissata dentro di sé facendone il pieno.

Hanno poi bisogno di sentirsi apprezzati nel loro valore e nella loro unicità, senza alcuna forma di giudizio, né negativo, né positivo. Ogni bambino è unico nel suo valore: il bambino veloce è efficiente, il bambino lento è profondo e sensibile ai dettagli e all’ “invisibile”. Il bambino aperto può essere un buon leader, il bambino più chiuso può essere più riflessivo e più in grado di supportare chi è nel bisogno. Il bambino che ha buoni voti a scuola può essere uno studente efficiente, un brillante scrittore o ingegnere, il bambino disgrafico, dislessico, discalculico o che semplicemente detesta stare fermo e seduto in ascolto per troppe ore di fila potrà essere un brillante atleta, architetto, artista, musicista, pilota, artigiano, agricoltore, educatore.

Hanno infine bisogno di appartenenza. Di appartenere a un insieme, un gruppo che contemporaneamente nutre e definisce la loro identità, il loro ruolo, il loro posto nel mondo.
La famiglia quindi va vissuta e va protetta nei suoi confini: le regole, le decisioni, i valori sono decisi da chi vi appartiene, chi sta fuori non può giudicarne le scelte né metterle in discussione.

Partiamo dalla gentilezza
Il ruolo di genitore richiede tante energie per stare in ascolto, osservare, percepire, decidere, agire.
Molto del lavoro che fa un genitore non si vede: è un lavoro di mente e di cuore. Ciò che è visibile è solo la punta dell’iceberg.
Un genitore riflette, si sintonizza, interpreta, pensa, sente. Decide, parla, si confronta, amplia il suo punto di vista.
Sbaglia di continuo, ogni giorno, perché è solo sbagliando e ricalibrando la rotta che si trova la strada in ogni cosa. Convive con l’imperfezione, la disorganizzazione, l’imprevisto. Prova ad essere creativo, rompe schemi, cambia punto di vista.

Per fare ogni giorno tutto questo serve tantissima carica e l’unica strada possibile per farcela è imparare a volersi bene. Ad essere gentili con sé stessi.
A prendersi tempo per fare ciò che si ama. Non dico tutto, ma almeno un po’, ogni giorno.
A non giudicarsi mai, perché l’unica certezza, anche nei giorni peggiori, è che un genitore fa sempre del suo meglio, con le risorse che ha in quel momento.
A lasciarsi aiutare, perché per dare amore e cura bisogna innanzitutto permettersi di riceverli, decidere che li meritiamo. Ci spettano per diritto di nascita.

Curiamo le nostre ferite.

Il dolore, la fatica e l’insicurezza derivano da ferite e da “contenitori interni” di vicinanza, riconoscimento del valore, appartenenza che non sono stati adeguatamente riempiti da chi ci ha messi al mondo. Ma ora che siamo adulti e abbiamo messo al mondo dei figli, non dobbiamo più subire qualcosa che non ci siamo scelti. Andiamo dunque nel mondo a riempirli, questi contenitori, mentre cresciamo i nostri figli.

Il principale strumento educativo è la nostra vita davanti ai loro occhi, allora cerchiamo vicinanza per noi (compagni, amici, collaboratori), diamoci valore prendendoci cura e coccolandoci spesso concedendoci ciò che ci dà gioia ed entusiasmo. Cerchiamo un senso di appartenenza seguendo il nostro istinto, frequentando chi ci assomiglia, chi ama ciò che anche noi amiamo, coltiviamo passioni insieme agli altri, collaboriamo per creare progetti che ci piacciono.

Un genitore che si ama inizia a sorridere più spesso, ad essere più gentile. È meno stanco e anche se la frenesia del terzo millennio ci concede meno tempo di quanto vorremmo per stare con i nostri figli, se ci amiamo e ci curiamo di soddisfare i nostri bisogni, questo tempo avrà una qualità più alta.