Gli operatori sanitari che si trovano a operare nei diversi contesti di cura possono trovare spunti di riflessione e di cambiamento per dare un nuovo significato al proprio approccio assistenziale attraverso il passaggio da etica del dovere ad etica delle responsabilità.

Dal “to cure” al “to care”

Non solo sono responsabili dell’assistenza dei piccoli neonati, ma della loro famiglia. In modo particolare della diade mamma-neonato e della triade mamma-papà-neonato che sono le figure più importanti nel percorso di cura del piccolo e per il piccolo. Dal 1997, dopo la stesura della Convenzione di Oviedo, ci troviamo di fronte all’umanizzazione dell’assistenza sanitaria, non solo più intesa come cura rivolta alla guarigione dalla malattia, ma come presa in carico dell’essere umano che si ha di fronte in tutta la sua complessità. Una transizione dal “to cure” al “to care”.

Con l’approvazione del nuovo Codice deontologico dell’infermiere, si è spostata l’attenzione dal sistema di regole all’esperienza, facendo emergere l’importanza della sensibilità umana e della competenza professionale. Se c’è motivazione e un senso nell’agire, nel professionista ci sarà una gratificazione che deriva dalla relazione con la persona assistita. Aver cura del paziente sarà allora un atto in cui l’intelligenza, non meno del cuore, avrà la sua parte e il suo posto.

Neonati prematuri e comunicazione infermiere-genitore

Il neonato prematuro ricoverato ha il diritto di avere genitori correttamente informati in modo comprensibile, esaustivo e continuativo sull’evolvere delle sue condizioni e sulle scelte terapeutiche. L’articolo 6 deI Manifesto dei Diritti del Bambino Nato Prematuro illumina il paradigma sulla comunicazione infermiere-genitore che avviene nelle nostre TIN.

Sicuramente la presenza dei genitori è un enorme carico per l’operatore (zero separation), e ciò è vero soprattutto all’inizio: il genitore si trova spaesato e deve gestire un dolore tale che per riuscire a ritrovare un equilibrio si trova a richiedere la presenza continua dell’operatore per sé, ponendo domande continue, chiedendo rassicurazioni che non si possono dare e tutto viene ripetuto all’infinito. L’evento della nascita è fisiologicamente accompagnato da notevoli aspettative da parte dei genitori, da fantasie idilliache, da immagini positive.

Quando però qualcosa non va, come nel caso di una nascita molto pretermine, il brusco cambiamento di prospettiva fa calare per così dire un velo “grigio” sull’immagine idilliaca che i genitori si erano fatti. Questo “velo” rende difficile scorgere anche parzialmente delle vie d’uscita.

La comunicazione, quindi, è, in realtà, qualcosa di piuttosto complicato. Tra l’infermiere e il genitore si possono costruire a livello comunicativo molti scenari, in questo contesto metteremo in evidenza i due più significativi:

• “BARRIERA” fatta di diversità, di convinzioni, abitudini, informazioni, pregiudizi, timori, ricordi, progetti, che rendono difficile il passaggio di conoscenze, dati, informazioni, nonché il passaggio di consigli, indicazioni e prescrizioni;
• la costruzione di un legame di tipo “familiare” che non permette di mantenere una buona relazione tra genitore e infermiere, abbattendo la giusta distanza che una corretta relazione richiede, ponendo il professionista al rischio di ritrovarsi eccessivamente coinvolto a livello emotivo nella relazione stessa. I mezzi per impedire l’instaurazione di questi scenari sono l’acquisizione di competenze comunicative che vanno acquisite mediante una formazione adeguata da parte del professionista perchè non bastano solo il buon senso e la buona volontà per impedire gli incidenti comunicativi.

Il professionista che userà una comunicazione efficace, la quale non richiede tempo in più, si troverà così a:
– formulare obiettivi specifici;
– usare le parole giuste per quell’individuo o quella famiglia;
– usare un linguaggio privo di inutili tecnicismi, pur senza perdere autorevolezza;
– completare le informazioni, anche quando siano state fornite da altri;
– cogliere se i genitori hanno compreso le istruzioni e le indicazioni o se sia necessario aggiungere qualcosa;
– informare senza sconvolgere;
– non illudere, ma neanche togliere le speranze, creando così uno standard comunicativo che sarà fondamentale per la relazione di cura.

Quale dovrebbe essere lo stile comunicativo in ambito professionale?

• lavorare per obiettivi specifici;
• cercare di essere assertivi, quindi né passivi né aggressivi: il professionista esplicita quali sono i suoi ambiti e i suoi obiettivi senza giustificare (semplicemente esplicitando) e senza aggredire;
• cercare di aumentare i messaggi in entrata, per capire un po’ di più del mondo di chi abbiamo di fronte, attraverso l’ascolto attivo e la formulazione di domande aperte;
• le domande hanno come scopi quelli di capire qualcosa dell’universo dell’altro, selezionare le informazioni utili e soprattutto mantenere una relazione valida;
• la selezione delle informazioni utili è fondamentale, perché fornire troppe informazioni significa travolgere chi abbiamo di fronte e quindi sostanzialmente non fornire alcuna informazione.

La comunicazione non è un intervento spontaneo, ma professionale, che non richiede tempo in più, ma va collocato all’interno degli abituali interventi del professionista

L’etica professionale ci pone in continua oscillazione tra i diritti del nostro assistito e il dovere che ci viene imposto come infermieri. Dobbiamo tenere sempre a mente ciò che differenzia la nostra professione dalle altre: la relazione umana e di cura che intraprendiamo con ogni nostro utente. Inoltre, visto tutto il carico emotivo che la relazione di cura richiede, dobbiamo anche pretendere che le Istituzioni di cui facciamo parte rispettino i nostri diritti, rendendo effettivi i loro doveri verso le nostre professioni.