La scoperta di una gravidanza porta con sé sentimenti di gioia, ma anche dubbi e paure sulla salute del proprio bambino. Negli anni 80 del secolo scorso l’introduzione dell’ecografia applicata alla gravidanza ha consentito di aprire una “finestra” sulla salute del nascituro.

Ma quali sono, a quante settimane si fanno ed a quali domande possono rispondere le ecografie in gravidanza?

 

Il primo trimestre: chi ben comincia… sede, evolutività, numero dei feti

L’ecografia precoce del I trimestre è finalizzata alla valutazione del numero dei feti, della loro vitalità, della sede intrauterina dell’embrione/feto e della corrispondenza dell’epoca gestazionale (datazione ecografica della gravidanza). Inoltre tale esame è utile per evidenziare anomalie dell’utero e degli annessi uterini.

Al termine del primo trimestre… test di screening delle anomalie cromosomiche e della preeclampsia

Tra la 11° e la 13° settimana si può eseguire il Test Combinato per lo screening delle aneuploidie, cioè la valutazione del rischio per le comuni trisomie. Tale test prevede l’esecuzione di un prelievo di sangue per la valutazione di sostanze di origine placentare ed un esame ecografico per la misurazione della translucenza nucale-spessore del tessuto sottocutaneo della regione della nuca del feto. Unendo questi parametri a dati demografici della paziente (età, etnia, etc) della paziente operatori accreditati ottengono il rischio della gravidanza di avere un feto affetto da Trisomia 13, 18 e 21.
Contemporaneamente al test combinato è possibile eseguire, solo nelle gravidanze singole, lo screening per la preeclampsia. La preeclampsia (in passato chiamata gestosi) è una complicanza della gravidanza caratterizzata da un aumento della pressione arteriosa materna associata a perdita di proteine nelle urine che insorge dopo la 20° settimana. In talune gravidanze esse può richiedere il parto pretermine per scompenso delle condizioni materne o fetali. Nelle pazienti positive è indicata la terapia con acido acetilsalicilico poiché è stato dimostrato che esso riduce la probabilità di verificarsi della patologia.

Test di screening, test diagnostici…che confusione!

Quando una coppia effettua un test con la finalità di rilevare patologie del nascituro, spesso non ha chiara la differenza tra test diagnostico e test di screening. Si parla di test diagnostico quando l’esame che si effettua fornisce con certezza il risultato circa la presenza o l’assenza di una patologia. Ad esempio tra gli esami in gravidanza, villocentesi ed amniocentesi sono considerati esami diagnostici riguardo alle anomalie di numero (ad esempio la Trisomia 21 o Sindrome di Down) o di forma (ad esempio traslocazioni) dei cromosomi. Essi tuttavia hanno un rischio di aborto di circa l’1%.
Si parla invece di test di screening quando l’esame fornisce un calcolo del rischio circa la presenza o assenza di una patologia. Il risultato di questi test è espresso in termini di “alto rischio” o “basso rischio”. La positività di tali test non indica che la patologia sia sicuramente presente, così come viceversa la negatività non la esclude al 100%. Fanno parte di questa categoria il test combinato (esame eseguibile tra 11 e 13 settimane di gravidanza che appunto “combina” dati demografici materni, misurazioni ecografiche e risultati di esami ematici per fornire un rischio del feto di essere affetto dalla Trisomia 21, 13 e 18) e l’esame del DNA fetale.

Secondo trimestre, obiettivo: anatomia fetale

Tra la 19° e la 21° settimana di gravidanza si esegue l’ecografia morfologica. Questo esame consente di ottenere la misura di alcune parti del corpo del feto ed i valori di tali misure vengono confrontati con quelli delle curve di riferimento per valutare se le dimensioni corrispondono a quelle attese per l’epoca di gravidanza. Nello stesso esame si visualizzano la sede di inserzione placentare, la quantità di liquido amniotico e la struttura dei principali organi e distretti anatomici del feto. A parte rare eccezioni, non esistono anomalie fetali che sono individuabili sempre e con certezza.
Dall’analisi dei dati italiani disponibili emerge che solo il 32% delle anomalie congenite viene identificato in epoca prenatale nel II e III trimestre. Pertanto, per i limiti intrinseci della metodica, è possibile che alcune anomalie fetali, anche gravi, non vengano identificate in epoca prenatale. Fattori limitanti l’ecografia possono essere lo spessore della parete addominale materna in caso di obesità, la sfavorevole posizione del feto in utero, la ridotta quantità di liquido amniotico e la presenza di altri fattori quali cicatrici addominali, gemellarità, fibromatosi uterina.

Al terzo trimestre: controllo crescita

L’obiettivo principale dell’ecografia del III trimestre è la valutazione della crescita fetale, della quantità di liquido amniotico e della localizzazione placentare. Nella popolazione a basso rischio l’ecografia del III trimestre ha una buona performance nell’identificare feti con restrizione di crescita o feti grandi per l’epoca gestazionale. Inoltre essa può diagnosticare anomalie strutturali ad insorgenza tardiva.

E se emerge un problema?

Se dagli esami ecografici di base emergono reperti anomali, sospetti o non chiari, a carico di uno o più distretti anatomici fetali, lo specialista che ha in carico la gravidanza vi riferirà ad uno specialista in medicina fetale per eseguire una Ecografia di Riferimento. Essa è un esame “diagnostico” ossia ha lo scopo di escludere o diagnosticare la presenza di una malformazione fetale e viene eseguita da medici esperti nella diagnosi e nella gestione delle malformazioni fetali.

a cura dell dr.ssa Laura Marchi, Specialista in Ginecologia ed Ostetricia, AUSL Toscana Centro