Il rischio di contagio postnatale, in caso di madre positiva al Covid-19, è inferiore ai benefici che il rooming-in può apportare. Mamma e neonato, dunque, diversamente da come fatto nelle prime fasi dell’emergenza sanitaria in qualche Paese (ad esempio Cina e Stati Uniti), non devono essere separati.
Solo l’1,6% dei nati da madre positiva infatti è a rischio contagio dopo la nascita. Il dato emerge da uno studio italiano condotto durante i primi mesi della pandemia e pubblicato nei giorni scorsi dalla prestigiosa rivista internazionale Jama Pediatrics. I risultati dei ricercatori hanno confermato quanto già previsto dalle Indicazioni “Allattamento ed Infezione da Sars-CoV-2 (Coronavirus Disease 2019 – COVID-19)”, diffuse dalla SIN all’inizio della prima ondata della pandemia.
La ricerca “Valutazione della pratica del Rooming-in per i neonati da madri con grave sindrome respiratoria acuta da infezione da Coronavirus 2 in Italia” (Evaluation of Rooming-in Practice for Neonates Born to Mothers With Severe Acute Respiratory Syndrome Coronavirus 2 Infection in Italy), ha coinvolto numerose Neonatologie lombarde, è stato coordinato dalla dr.ssa Lorenza Pugni dell’Unità Operativa di Neonatologia e Terapia Intensiva Neonatale della Fondazione IRCCS Cà Granda Ospedale Maggiore Policlinico di Milano diretta dal Prof. Fabio Mosca e ha come primi autori il dr. Andrea Ronchi e il dr. Carlo Pietrasanta della stessa Unità Operativa.
Lo studio è stato condotto su un campione di 62 bambini, nati in 6 ospedali lombardi da madri positive al SARS-CoV-2, tra il 19 marzo e il 2 maggio 2020 e seguiti per 20 giorni di vita.
Le loro mamme sono state istruite a rispettare scrupolosamente, durante il rooming-in, 3 semplici regole:
- utilizzo costante della mascherina in vicinanza del neonato e durante l’allattamento;
- accurata igiene delle mani;
- distanziamento della culla dal letto della mamma.
Dei 62 neonati arruolati (25 maschi), nati da 61 madri (età media 32 anni) e negativi alla nascita, solo 1 bambino (1,6%) è stato diagnosticato con infezione da SARS-CoV-2 ai controlli post-parto. In quel caso, il rooming-in era stato interrotto al 5° giorno di vita a causa del grave peggioramento delle condizioni cliniche della madre. Il neonato è diventato positivo il 7 ° giorno di vita e ha sviluppato una lieve dispnea transitoria. Il 95% dei neonati arruolati è stato allattato al seno.
“Sulla base dei nostri risultati – spiega il Presidente della SIN Fabio Mosca – il rischio di trasmissione postnatale da madre a bambino di SARS-CoV-2 durante il rooming-in è molto basso e le mamme infette in buone condizioni cliniche e disponibili a prendersi cura dei propri bambini, devono essere incoraggiate a questa pratica e ad allattare al seno, dopo essere state ben istruite sulle misure preventive da adottare. Risulta chiaro quindi – continua il Prof. Mosca – che, con le opportune precauzioni, anche una mamma positiva al Covid-19 può abbracciare il suo piccino appena nato e vivere l’esperienza del contatto pelle a pelle, che favorisce il bonding e il buon avvio dell’allattamento. La mamma ha così la possibilità di attaccare subito il bimbo al seno e procedere anche nei giorni successivi con l’allattamento a richiesta, essenziale per ogni neonato”.
L’opzione da privilegiare è sempre quella della gestione congiunta di madre e bambino, al fine di facilitare l’interazione e favorire l’avvio dell’allattamento al seno.
La separazione della diade dovrà essere quindi un’eccezione, nel caso in cui i sintomi dell’infezione materna siano rilevanti: “Se le condizioni generali della neomamma – conclude il Prof. Mosca – non le consentono di allattare al seno, comunque, dovrà essere incoraggiata ad estrarre il latte dal personale del punto nascita, che le spiegherà come fare e quali accorgimenti igienici seguire. Ciò ne stimolerà la produzione, garantendo al piccolo tutti i benefici di salute derivanti dal latte materno”.
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