Grazie a contributo della psicologa Roberta Zannella, ItaliaAdozioni aiuta a fare luce sulle emozioni provate dai più piccoli e dai loro genitori prima, durante e dopo il processo adottivo.

L’Adozione è un processo molto intenso che coinvolge una variegata gamma di emozioni con un ruolo di primo piano. Ciò avviene perché le emozioni sono necessarie a tutte noi, ci aiutano ad adattarci al contesto in cui viviamo ed a comunicare con i nostri simili.

Infatti, la parola emozione deriva dal latino e-movere e significa smuovere, portare da dentro a fuori. Le emozioni indicano allora le reazioni del nostro corpo – come sudorazione, accelerazione del battito cardiaco, rossore sulle guance, respiro corto – di fronte ad un determinato evento.

Le emozioni primarie e secondarie spiegate ai genitori

Paul Ekman, padre della psicologia delle emozioni, spiega che esse possono essere divise in due categorie: primarie e secondarie.
Le emozioni primarie sono comuni a tutti e sono innate negli individui, che le provano fin dalla nascita; si sviluppano infatti nei primi sei mesi di vita del bambino. In base alla classificazione di Ekman le emozioni primarie sono gioia, tristezza, rabbia, paura, disgusto e sorpresa. Tutte hanno dei segnali universali distintivi, ovvero una propria espressione facciale ed allo stesso tempo svolgono un ruolo cruciale nella regolazione della nostra biologia interna, nell’interpretazione degli eventi esterni e nel guidare i nostri comportamenti.

Le emozioni secondarie, invece, hanno origine dalle emozioni primarie, ma si sviluppano crescendo e vengono condizionate da fattori culturali e dall’interazione sociale. Esse sono principalmente invidia, senso di colpa, vergogna ed orgoglio.
Le emozioni secondarie sono più complesse di quelle primarie, poiché possono essere sperimentate solo se è presente un certo livello di introspezione o di autocoscienza. Questa parte di sé è quella che inizia a svilupparsi quando il bambino inizia a riconoscersi allo specchio, ad usare nel linguaggio pronomi personali o a partecipare a giochi di fantasia.
In sintesi, le emozioni primarie rappresentano la reazione immediata agli eventi e alle situazioni che ci circondano, mentre le emozioni secondarie sono una risposta a come ci sentiamo in una specifica situazione.

Le emozioni dell’adozione: film e fiabe utili ai genitori

Si rintracciano in particolare quattro emozioni primarie legate all’adozione, a cui sono connesse alcune secondarie. Affinché l’esposizione sia efficace e comprensibile a tutti, verranno forniti alcuni strumenti narrativi utili per aiutare a comprendere e gestire le emozioni.

Paura: il timore di non essere accettati

Il bambino che viene adottato e i genitori che adottano hanno in comune una domanda: “È proprio me che volevi?”.
L’adozione è un percorso complesso e, come tutte le cose complesse, spaventa. Il bambino e i genitori hanno paura di affrontare un nuovo cammino, in cui non sanno cosa li aspetta, un cammino fatto di incontri e speranze, ma anche di delusioni e cadute. Tutto ciò che non si può prevedere provoca paura.
I bambini adottati possono aver paura di non essere accettati e/o di non riuscire a costruire un legame forte. I genitori che li accolgono, invece, possono aver paura di non riuscire a realizzare il loro sogno e non creare un ambiente familiare amorevole e sano per il minore.

Si pensi anche alla paura di non essere amati per ciò che si è. Ad essa è collegata la vergogna, che si prova nel sentirsi diversi. E allora ci si nasconde e si resta in silenzio. Quale può essere il rimedio a questo stato d’animo? Affrontare il problema e chiedere aiuto a chi ci vuole bene.

Ad esempio, nel romanzo Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare di Luis Sepúlveda (Salani, 1996), la piccola gabbianella Fortunata, rimasta orfana, viene adottata e cresciuta dal gatto Zorba. Grazie all’aiuto del saggio Zorba, Fortunata riesce a superare la sua più grande paura, quella del volo. Celebre, infatti, è la parte del romanzo in cui Zorba suggerisce alla gabbianella di salire sul campanile di San Michele e spiccare il volo. Fu da questa scena che venne tratta la famosa citazione: “Vola solo chi osa farlo”.
Ad essa, si può aggiungere anche “vola solo chi osa farlo e chiede aiuto”. Come il bambino chiede aiuto ai genitori, i genitori possono chiedere aiuto ai professionisti (psicologi, assistenti sociali, insegnanti) e insieme possono vincere la paura, imparando a “volare”.

Rabbia o confusione: alla ricerca di un perché

Il bambino adottato può provare rabbia o confusione rispetto al fatto che non è stato voluto dai suoi genitori biologici. Il bambino si chiede “Perché proprio io?” e a volte non riesce a darsi una risposta. Inoltre, i bambini provano rabbia nei confronti dei genitori adottivi, quando questi non riescono a dare significato alla loro storia, al loro passato.
Sapete come si cura la rabbia? Facendo affidamento sul dialogo e sull’amore che circonda i minori adottati. L’apertura di un dialogo offre, al bambino ed ai genitori adottivi, l’opportunità di chiarirsi, di confrontarsi, di trovare risposte a tante domande che si hanno sulle proprie origini. Così facendo i bambini imparano ad accettare le opinioni, i pensieri e i vissuti differenti.

Nel film I Puffi 2 (2013), diretto da Raja Gosnell, emerge con forza la figura di Puffetta, simbolo di trasformazione interiore. Creata dal perfido mago Gargamella, Puffetta è inizialmente la “figlia cattiva”. Tuttavia, il suo destino cambia radicalmente quando viene accolta dal Grande Puffo, che con amore e pazienza la aiuta a riscoprire la sua vera natura.
Nonostante l’affetto ricevuto, Puffetta attraversa momenti di turbamento emotivo: si sente fuori posto, divisa tra le sue origini oscure e il desiderio di appartenere realmente alla comunità dei Puffi. È nel delicato e toccante dialogo con il Grande Puffo che avviene la svolta: con parole semplici ma profonde, egli le insegna che non è il passato a definire chi siamo, ma le scelte che facciamo e chi decidiamo di diventare.
La rabbia nasce proprio dal non sapere: non sapere perché si è stati abbandonati, non conoscere le proprie origini, non riuscire a dare voce ai propri ricordi. La rabbia è un bagaglio molto pesante, che solo la pazienza e l’amore possono alleggerire.

Tristezza: l’abbandono e la perdita delle radici

I genitori provano tristezza quando scoprono di non poter avere un figlio in maniera biologica ed il bambino prova tristezza quando pensa di essere stato abbandonato, di aver perso il contatto con le sue radici, con la sua storia.
Prova tristezza anche a causa del fatto che trascorre parte della sua vita in una struttura comunitaria, dove crea dei legami, che, anche se sono forti, non sono la sua famiglia. Alla tristezza si aggiunge il senso di colpa, poiché talvolta il bambino si sente responsabile dell’abbandono; anche i genitori possono ritenersi “colpevoli” per non aver generato un figlio. Alla tristezza si aggiunge anche la solitudine provata da entrambi, poiché alla base vi è un’esperienza di vuoto che non si riesce a colmare.

Come si cura la tristezza? Con un lungo e stretto abbraccio. L’adozione non può guarire le fratture lasciate dalla tristezza ma, come un abbraccio, crea una possibilità “altra”, dove i genitori e il bambino si sentono scelti, accolti e accettati.
A tal proposito citiamo il film Leafie – La storia di un amore (2011), che racconta la storia della gallina Leafie. Quando trova un anatroccolo orfano, Leafie decide di allevarlo come se fosse suo figlio. Il suo amore incondizionato protegge l’anatroccolo, anche dalla tristezza che prova nel sentirsi diverso, e quando diventa adulto, l’amore di Leafie gli dona il coraggio di spiccare il volo.

Gioia: quando la famiglia guarisce e unisce

Non sono tutte negative le emozioni: c’è gioia nel cuore dei genitori che incontrano il bambino, dopo averlo desiderato a lungo e c’è gioia nel cuore del bambino, che finalmente viene accolto e amato.
C’è gioia in questa nuova famiglia che si forma, che avrà una storia da costruire insieme. Per spiegarvi quest’emozione non vi fa riferimento a una storia soltanto, perché la gioia parla da sé, ha bisogno solo di essere vissuta, la si legge direttamente negli occhi dei bambini e dei genitori che insieme decidono di formare una famiglia.
Un valido riferimento si trova nel film Lilo & Stitch (2002). In una delle scene più toccanti, Lilo implora Stitch di restare, pronunciando la frase divenuta iconica: “Ohana significa famiglia, e famiglia vuol dire che nessuno viene abbandonato o dimenticato.”
Queste parole racchiudono tutta la forza e la bellezza di una nuova famiglia che nasce, si riconosce e si rafforza nel legame affettivo.

Un nuovo inizio, tra speranza e tenerezza

La verità è che non esiste un tasto “cancella” capace di eliminare il dolore e le emozioni difficili. Tuttavia, ogni bambino adottato custodisce dentro di sé il desiderio di un nuovo inizio, di poter premere, insieme ai propri genitori adottivi, quel simbolico tasto “Restart”.
L’adozione rappresenta proprio questo: una nuova possibilità offerta dalla vita, per costruire legami autentici e donarsi reciprocamente amore.
In questo percorso, due parole risuonano con forza: speranza e tenerezza, emozioni di cui, forse, oggi abbiamo più che mai bisogno.
La speranza che sempre più bambini, in Italia e nel mondo, possano trovare una famiglia pronta ad accoglierli, ad amarli e a prendersi cura di loro.

E la tenerezza, che vogliamo affidare alle parole di Claudia Lilli, autrice de L’isola dei Bambini – Storia di Bi (Bertoni Junior, 2021):
“Da quando sei arrivata, sono quattro gli occhi che vigilano costantemente su di te. Sei, se ci mettiamo anche quelli del gatto. Avremmo voluto esserti accanto anche quando ancora non c’eravamo per te. Adesso siamo un NOI. Tutto quello che verrà è ancora da scoprire, ma lo faremo insieme. E vogliamo sia fatto di tante cose, ma soprattutto di Amore e Comprensione.”

Genitorialità consapevole: ogni atto educativo è anche un atto emotivo

L’esperienza adottiva, pur essendo un percorso unico e spesso complesso, offre spunti preziosi per riflettere su ciò che rende la genitorialità davvero profonda, autentica e trasformativa.
Le emozioni vissute da bambini adottati e dai loro genitori – paura, rabbia, tristezza, gioia – sono le stesse che, in forme diverse, attraversano ogni esperienza familiare.
Proprio per questo, alcune riflessioni emerse dal contesto adottivo possono diventare lezioni universali, valide per ogni madre, padre o figura educativa.
In definitiva, l’esperienza adottiva ci insegna che ogni atto educativo è anche un atto emotivo.
Che non esistono genitori perfetti, ma adulti che scelgono di esserci, con presenza affettiva e capacità di ascolto. E che la cura profonda dei legami affettivi è la base comune di ogni famiglia, qualunque forma essa abbia.