Uno studio di qualche tempo fa, condotto dalla European Psychoanalytic and Psychodinamic Association, avvalorato da una recente indagine, condotta dall’associazione Pepita, su 500 genitori e altrettanti bambini dai 6 ai 13 anni, assegnerebbe ai genitori italiani l’ultima posizione di una classifica europea sul tempo medio trascorso con i figli, per giocare insieme.
L’aspetto peggiore, oltre al tempo dedicato al gioco, di soli 15 minuti, spesso nemmeno tutti i giorni, è che soltanto il 25% dei genitori intervistati ritiene che giocare con i figli sia educativo.
Il gioco, dal punto di vista psicopedagogico, dovrebbe essere considerato una sorta di “cibo” per il corpo, la mente e per il benessere psichico del bambino, perchè rafforza in lui il senso di sicurezza e protezione.
L’adulto che gioca con il bambino e si diverte, dà un messaggio molto chiaro: “Va bene divertirsi”.
Si tratta di un messaggio indiretto e rassicura il bambino sul fatto che può crescere e contemporaneamente continuare a vivere e a divertirsi, perché ha di fronte un modello di adulto che continua a vivere e a divertirsi, nonostante le fatiche, gli impegni e le responsabilità di ogni giorno.
Oggi i bambini hanno bisogno di questo messaggio, che invita a non avere paura di crescere, di entrare nel mondo degli adulti, perché si può essere un lavoratore serio e nello stesso tempo un bambino che si diverte.
Il gioco, come sosteneva M. Klein, è inoltre uno strumento di aiuto, per dominare eventi difficili da sopportare, ne sono un esempio le attività manipolative, con la creta, la farina, la sabbia, che forniscono delle risposte interne e tutto si quieta.
Non sempre i bambini sanno tradurre con le parole, specie se molto piccoli, quel loro sentire la rabbia, il dolore, a volte la gioia e l’ironia, di conseguenza le attività manipolative, come le attività grafico-espressive, diventano un canale per esprimere ansie e paure, assumendo così una funzione liberatoria.
In attesa, che gli adulti ritornino a giocare, facciamo giocare i bambini, possibilmente con i giochi tradizionali o con il materiale povero, come insegna B. Munari, nella consapevolezza che il gioco nell’infanzia è per eccellenza lo strumento più comunicativo, non è un estraniarsi dalla realtà ma un calarsi in essa.